ASSOCIAZIONE TREVIGIANA ANTIQUARI, Mostre, Collaterale 2009

Sezione 3. I bronzi della bottega di Nicolò Roccatagliata per il decoro e l’arredo di palazzi e ville

Le enormi ricchezze accumulate dalle famiglie dell’aristocrazia veneziana con i commerci, avevano permesso loro un tenore di vita da sempre molto alto. Avere dimore lussuose con sfarzosi saloni di rappresentanza era talvolta un bisogno legato allo stato sociale ma anche alla loro attività di mercanti, che necessitava, ieri come oggi, di trasmettere un’immagine di solidità, professionalità, affidabilità ed efficienza. Quel tenore di vita raffinato, ricercato ed elegante, dalla capitale si rifletteva sulla provincia. In aggiunta a quella delle istituzioni pubbliche e religiose, ciò faceva sì che vi fosse una forte richiesta interna di ogni genere di prodotti. Come già visto, poi, la condizione di “Stato da mar” della Repubblica si stava trasformando gradualmente in “Stato da terra”, e ciò, oltre che in agricoltura, si traduceva anche in un forte impulso edilizio e di consolidamento dell’industria locale, in continua espansione e rinnovamento tecnico e tecnologico.

Il passaggio dal Rinascimento al Barocco attraverso il Manierismo, espressione del passaggio dalle Signorie alle monarchie assolute, da noi si manifesta in ritardo rispetto ad altre zone d’Italia e d’Europa. L’attività di scultore bronzista di Nicolò Roccatagliata, ben approfondita da Franca Pellegrini nel suo contributo, si può collocare pertanto nell’ambito del tardo Manierismo veneto e trova la sua clientela ufficiale soprattutto in ambito ecclesiastico, mentre parte della sua produzione va a soddisfare le esigenze di quella ricca aristocrazia cittadina e nobiltà di provincia che ricerca, anche a livello collezionistico, opere di grande valore decorativo, spesso di carattere classicheggiante o mitologico (sul gusto per le antichità, dalle quali si usava pure “tirar calchi”), ma utili ad usi d’arredo e impieghi pratici, come decorazioni per mobili, alari da camino, battenti e maniglie di porte, calamai, lucerne, campanelli, candelieri, bruciaprofumi o mortai. Un genere di attività scultorea, si può dire, in buona parte dedicata alle arti applicate e anche, come visto per i Bassano, a lavori più strettamente artigianali. Trattandosi di lavori comunque tecnicamente impegnativi, tutti i collaboratori dovevano essere ben capaci in ogni fase della lavorazione e saper anche intrattenere i giusti rapporti con la committenza e con le collaborazioni esterne. Le dimensioni generalmente ridotte delle opere, inoltre, e la loro riproducibilità facilmente seriale (aspetto assai interessante nel contesto di questa mostra), permettevano pure una realizzazione senza che a priori vi fosse un ordine preciso, con le conseguenti difficoltà poi della loro collocazione nel mercato, sebbene la loro diffusione e la loro circolazione sia stata sin dall’origine sempre piuttosto consistente, al punto da accentuare alquanto, stilisticamente, reciproche influenze tra artisti o scuole anche geograficamente molto lontane.

Il capobottega ricercava e riceveva quindi le richieste, discuteva col committente come e cosa realizzare, mostrandogli magari modelli di opere appositamente tenuti allo scopo, o primi studi o abbozzi in disegno, e forse poi anche in bozzetti plastici; su queste prime idee, a volte il committente faceva fare eventuali modifiche. Ed era sempre il capobottega a decidere la produzione di opere fatte senza committenza iniziale, prevedendo già come, a chi o attraverso chi venderle. Dopo di che, venivano realizzati disegni preparatori più tecnici, sui quali i lavoranti di bottega iniziavano i modelli o le parti necessaria alla vera e propria fusione, che l’artista curava direttamente nelle fasi finali. La fusione poteva essere a cera persa: su una base generalmente d’argilla, veniva modellato il soggetto desiderato con la cera, successivamente ricoperto con terra refrattaria nella quale si aprivano dei canaletti di scolo attraverso i quali, cotto al forno l’insieme, la cera liquefatta fuoriusciva lasciando il vuoto che si riempiva di bronzo fuso; distrutto l’involucro si recuperava il bronzetto. Questo metodo permetteva la realizzazione di un unico esemplare. Al contrario, si potevano ottenere numerosi esemplari uguali di bronzetti utilizzando il metodo di fusione a tasselli, che prevedeva l’esecuzione di un modello in argilla dal quale si ricavava una forma in gesso scomposta in vari tasselli, all’interno della quale si stendeva uno strato di cera e il tutto si riempiva di terra; tolti i tasselli, la cera veniva accuratamente rifinita e ricoperta da uno strato d’argilla sul quale si praticavano dei canaletti di scolo e degli sfiatatoi; si versava dentro il bronzo fuso, che andava a prendere il posto della cera, e si otteneva così la scultura. In entrambi i casi, si doveva poi procedere ad un accurato lavoro di rifinitura a freddo, togliendo con seghe, lime e scalpelli i segni dei canali di fusione e degli sfiatatoi; si interveniva ulteriormente con attente rifiniture a cesello e a bulino, alle quali seguiva la patinatura a caldo o con l’impiego di vernici, se non era prevista la doratura. Come si può facilmente intendere, sono procedimenti tecnici piuttosto complessi che richiedevano una preparazione professionale adeguata, per cui a volte ci si rivolgeva a delle fonderie vere e proprie, specializzate nella produzione di campane, cannoni od altre armi.

La grande stagione della bronzistica veneta si conclude con la personalità del genovese Nicolò Roccatagliata (1). Non si conosce la data in cui lo scultore, considerato veneziano d’adozione, giunge fra le lagune. L’arte del bronzo deriva a Roccatagliata da una lunga tradizione che, a partire dall’impresa donatelliana al Santo - dove tuttora si conserva anche il candelabro monumentale di Andrea Briosco detto il Riccio -, giunge fino all’artista attraverso gli esempi del Bellano, dello stesso Riccio, del Vittoria, del Segala, del Campagna e dell’Aspetti.

Com’è noto, l’arrivo di Sansovino a Venezia determinò nel secondo quarto del secolo l’evoluzione in senso manieristico della scultura veneta. Al maestro toscano e all’altro massimo protagonista della plastica veneta del Cinquecento, Alessandro Vittoria, fanno riferimento i modelli di Roccatagliata. Ai modi dello scultore trentino sembra tuttavia guardare maggiormente la bottega di Nicolò, quando si ispira ai putti della pala Fugger, oggi all’Art Institute di Chicago, databile fra il 1580 e il 1583.

Se ci sono ben note l’attività principale svolta da Roccatagliata per la committenza religiosa e quella rivolta a un pubblico privato mediante la creazione di piccoli bronzi a carattere decorativo, più lacunosa rimane la sua biografia. Da un recente contributo di Claudia Kryza-Gersch (2008) veniamo informati circa la data di morte finora sconosciuta dell’artista scomparso a Venezia il 22 ottobre 1629; notizia che consente di ancorare quella di nascita al 1559. L’alunnato presso Cesare Groppo è invece documentato dal testamento di costui, datato Venezia 14 febbraio 1606. In esso troviamo conferma del fatto che Nicolò era stato allievo non solo di Agostino, ma anche di Cesare, tanto che quest’ultimo lasciò in eredità al suo “garzon” i propri modelli.

È del 1594 l’importante commissione a Roccatagliata per San Giorgio Maggiore a Venezia. Qui collaborò con Cesare Groppo, quantomeno nell’esecuzione di due grandi candelabri (1596), dove primeggia il tema del putto. Segue la Madonna con il Bambino firmata, oggi facente parte del Musée National de la Renaissance di Ecouen, mentre è da considerarsi, nonostante le firme di entrambi, opera interamente del figlio Sebastiano Nicolini il paliotto bronzeo di San Moisé (1636), raffigurante un’allegoria dell’Eucarestia. Evidentemente era necessario che il nome di Sebastiano apparisse insieme a quello più autorevole del padre.

Sebastiano Nicolini emerge come bronzista quando Nicolò era ancora in vita. Il suo stile si avvicina talmente a quello del padre che risulta spesso difficile distinguere le due mani. È il caso dei Dottori della chiesa di San Marco eseguiti nel 1614. Non è strano che questo avvenga essendo la loro una bottega artigiana che, come tutte le altre del tempo, faceva riferimento a modelli stilisticamente omogenei.

Risale al 1998 il riconoscimento a padre e figlio da parte di Claudia Kryza-Gersch delle sei pregevoli statue bronzee che ornano la balaustra del coro di San Giorgio in Braida a Verona dedicate a due vescovi e a quattro evangelisti.

Agli inizi del Seicento i Roccatagliata collaborarono alla decorazione del Monumento funebre del doge Marino Grimani in San Giuseppe in Castello ideato da Girolamo Campagna. Una probabile sinergia con lo scultore veronese si stabilisce anche nel 1610 quando questi riceve l’incarico di completare il Monumento al doge Leonardo Loredan ai Santi Giovanni e Paolo. Infatti secondo la già citata studiosa i quattro rilievi presentano “tutte le caratteristiche stilistiche delle opere dei Roccatagliata” (2), così come appartengono alla loro mano le tredici figure bronzee, ora al Correr, che ornavano il tabernacolo dell’altare maggiore di San Lorenzo di Castello commissionato al Campagna.

La bella serie di putti che qui si espone, pur essendo taluni opera della bottega, era in origine destinata a decorare oggetti di uso pratico. Essa proviene in parte dalle raccolte del Museo d’Arte di Padova (3), in parte da collezioni private venete e testimonia la vitalità creativa di Nicolò, sempre pronto ad arricchire il modello di base di infinite varianti nelle pose e nelle attitudini: facce paffute, teste ricciute, vesti drappeggiate, pose giocose trattate con morbidezza luministica.

Non stupisce che la provenienza dei piccoli bronzi sia di natura collezionistica. Tale vastissima produzione di Roccatagliata si colloca nell’ambito di una consolidata tradizione veneta volta a fornire agli arredi un prezioso apparato decorativo; talché il bronzetto si indirizza verso l’oggettistica, pur mantenendo la sua natura plastica. Se i putti e le fanciulle a mezzo busto fungevano da maniglia di porta, i due angioletti musicanti, gli amorini con fiori e frutta e il putto che cavalca un delfino (4) conservati nel Museo padovano costituivano con buona probabilità decorazione di mobilio, come si evince dalla presenza di fori per l’avvitamento.

1) - Per il presente contributo si è fatto riferimento ai seguenti studi di Claudia Kryza-Gersch: C. Kryza-Gersch, New light on Nicolò Roccatagliata and his son Sebastian Nicolini, “Nuovi Studi”, III, 1998, 5, pp. 111-126; Eadem, Nicolò Roccatagliata (Genova 1560 ca. - 1636 ca.) e suo figlio Sebastiano Nicolini (notizie dal 1614), in “La bellissima maniera”. Alessandro Vittoria e la scultura veneta del Cinquecento, catalogo della mostra, a cura di A. Bacchi, L. Camerlengo, M. Leithe-Jasper, Trento, Castello del Buonconsiglio, 25 giugno-26 settembre 1999, Trento 1999, pp. 441-443; Eadem, Due altari seicenteschi a San Marco: Nicolò Roccatagliata e Sebastiano Nicolini, e la produzione di ornamenti in bronzo per le chiese veneziane, in L’in-dustria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia e nell’Italia settentrionale, atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di M. Ceriana, V. Avery, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 23- 24 ottobre 2007, Verona 2008, pp. 253-272.

3) - D. Banzato, F. Pellegrini, Bronzi e placchette dei Musei Civici di Padova, Padova 1989, pp. 108-111, nn. 92-93, 95-96, 97 (con bibliografia precedente).

4) - In questo amorino sono evidenti i rimandi alla classicità: si vedano ad esempio i putti raffigurati nei mosaici delle terme del Nettuno a Ostia.

41) - NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), Angioletto che suona la viola, inizio del sec. XVII, ottone verniciato, cm 12 x 10,3, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte, inv. 48.

42) - NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), Angioletto che suona il mandolino, inizio del sec. XVII, ottone verniciato, cm 23 x 10,3, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte, inv. 103.

43) - MODI DI NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), Amorino con fiori, inizio del sec. XVII, bronzo a patina scura, cm 12 x 6, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte, inv. 64.

44) - MODI DI NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), Amorino con frutta, inizio del sec. XVII, bronzo a patina scura, cm 19,3 x 5,7, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte, inv. 66.

45) - MODI DI NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), Amorino che cavalca un delfino, inizio del sec. XVII, bronzo a patina naturale scura, cm 9 x 9,3, Padova, Musei Civici, Museo d’Arte, inv. 693.

46) - NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), bottega di, Maniglia in forma di busto di putto, inizio del sec. XVII, bronzo a patina scura, cm 9,5 x 7,5, Castelfranco Veneto, collezione privata.

47) - NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), bottega di, Maniglia in forma di busto di fanciulla, inizio del sec. XVII, bronzo a patina scura, cm 9,6 x 6,9, Castelfranco Veneto, collezione privata.

48) - NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), bottega di, Maniglia in forma di busto di fanciulla, inizio del sec. XVII, bronzo a patina scura, cm 10,1 x 7 x 4,8, Padova, collezione Andrisani dr. Federico.

49) - MODI DI NICOLÒ ROCCATAGLIATA (Genova, 1559 – Venezia, 1629), Maniglia in forma di busto di putto, sec. XVII, bronzo patinato, cm 9,7 x 6,9 x 16,5, Castelfranco Veneto, collezione privata.

Referenze fotografiche: Associazione Trevigiana Antiquari: nn. 1-2, 4-8, 13-19, 32, 38-39, 46-47, 49-53, 58, 60, 62-64, 68-72, 77-80, 82-88, 91-100, 103-104, 109-110, 122-124, 131-141, 159-179; figg. alle pp. 76, 78, 80, 82, 84, 88, 94, 135, 138. Biblioteca Comunale, Treviso: nn. 9, 11. Federico Andrisani, Padova: n. 48. Fortuny Tessuti Artistici, Venezia: nn. 142-158, fig. alla pagina 153. Grafiche Tassotti, Bassano del Grappa: nn. 54-57, 59, 61, 65, 67, 73-76, 81, 89, 90; fig. alla p. 86. Giuseppe Vanzella, Treviso: nn. 125-130. Isabella Minchio, Bassano del Grappa: nn. 20-21, 24-25, 31, 33-37, 40, 108, 121. Musei Civici, Treviso: n. 22. Museo d’Arte Medioevale e Moderna, Padova: nn. 41-45. Pierfrancesco Garola, Padova: nn. 23, 27-30. G. Pezzini Bernini, F. Fiorani, Canova e l’incisione, Ghedina & Tassotti Editori, Grafiche Tassotti, Bassano del Grappa (VI), 1994, pp. 97, 128, 179, 214, 240, 248-249, 253: nn. 111-120. T. Basso, A. Cason, Treviso ritrovata, Edizioni Canova Treviso, Stampa Grafiche Zoppelli s.r.l., Dosson (TV), 1995, pp. 16, 73, 86: nn. 3, 10, 12. E. Manzato, G.C.F. Villa, Una pinacoteca per l’Ottocento, Edizioni Canova, Zoppelli s.r.l., Dosson di Casier (TV), 2000, p. 44: n. 102. V. Messina, Domenico Carpinoni, Moma Edizioni, MyPrint, Clusone (BG), 2009, p. 35: n. 26. Arte a Venezia ai Tempi di Canova, Pieghevole della Galleria Nuova Arcadia di Luciano Franchi, Padova, s.d., pp. 1-2: n. 105-107.

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