ASSOCIAZIONE TREVIGIANA ANTIQUARI, Mostre, Collaterale 2009

Sezione 7. L’impresa veneta di Antonio Canova a Roma: personificazione del “gusto internazionale” di un’intera epoca

Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822), come Jacopo Bassano, fu, in assoluto, una delle massime personalità artistiche che la storia dell’arte, di tutti i tempi, abbia avuto. Più del Bassano, egli fu un eccezionale imprenditore di se stesso, tanto da far sì che il Neoclassicismo, sotto molti aspetti, sia stato uno stile, un gusto, una moda che egli interpretò e gestì imponendolo come vero e proprio canone estetico, senza possibilità di alternative, al cospetto dei più grandi personaggi dell’epoca, da Napoleone a Papa Pio VII: a tal proposito, ben ci illuminano i due interventi di Mario Guderzo riportati di seguito. Come già detto per il Bassano, anche qui vien da chiedersi che vantaggi Possagno avrebbe ancora potuto avere se Canova avesse usato mettere il nome della sua città natale, alla quale fu sempre molto legato, accanto al suo così da poter essere detto “il Possagno” o, anche, se il nome della piccola cittadina fosse, ad esempio, “Possagno del Canova”! In ambito storico artistico, sono certamente considerazioni futili, ma in una globalizzazione che è anche mediatica, e quindi d’immagine, il brand, com’è chiamato il “marchio” nel mondo imprenditoriale, come lo è per un’azienda, può essere l’indice della “qualità” anche di un territorio: l’appellativo “Marca Gioiosa” per Treviso insegna. Comunque sia, Possagno sfrutta già al meglio la sua principale fortuna, con notevoli risvolti economici ed imprenditoriali, attraverso uno dei più coinvolgenti e suggestivi complessi museali di tutto il Veneto (e spettacolari in assoluto per la Gipsoteca), che noi non potevamo non includere nel nostro itinerario esterno assieme all’altro significativo gruppo di sue opere che si conserva al Museo Civico di Bassano.

Di umili origini, figlio di uno scalpellino, dopo la morte del padre è col nonno Pasino Canova, tagliapietre e scultore, che inizia ad imparare il mestiere. Entrato nello studio di Giuseppe Bernardi (detto Torretti) a Pagnano d’Asolo, è come suo aiutante che va a Venezia; là, frequenta la galleria di antichità di Filippo Farsetti e la scuola di nudo all’Accademia. Ha le sue prime importanti commissioni e nel 1778 apre uno studio. Nel 1779 è a Roma, dove l’incisore bassanese Giovanni Volpato lo introduce nell’ambiente artistico della città e dove poco dopo s’iscrive all’Accademia di Pompeo Batoni. Tornato a più riprese in Veneto, nel 1783 chiude il suo studio a Venezia per aprirne uno a Roma, città che da questo momento sarà il centro della sua attività artistica. Ultimo grande artista italiano di portata europea, prima che l’Italia e la sua arte cadano nel provincialismo, nelle sue prime opere vibra ancora sensuale la grande cultura figurativa veneta del Settecento. Interprete poi delle teorie winckelmanniane della «nobile semplicità, serena grandezza» e dell’“esecuzione sublime”, trova nell’antichità classica un’importante fonte d’ispirazione, recuperandone una bellezza ideale che solo l’arte ha il potere di far rivivere. Alla fredda razionalità dei canoni estetici di altri artisti suoi contemporanei, egli oppone nelle sue sculture un’umanità, un animo ed una spiritualità interiore che le lega sempre al mondo reale, anche quando è il tema della morte il soggetto delle sue opere.

Quale grandissimo scultore, egli fu anche un grande innovatore nella tecnica scultorea, nella divulgazione stessa della sua immagine e di quella delle sue opere: per diffondere la sua arte e ricevere, quindi, commissioni, faceva realizzare incisioni dove esigeva particolari soluzioni chiaroscurali e del tratto per meglio rendere l’effetto scultoreo. Nella tecnica esecutiva, egli utilizzò, come norma, i modelli in gesso a grandezza naturale dai quali trarre il marmo finale. Partiva da una prima idea attraverso l’esecuzione di veloci schizzi in disegno, talvolta ripresi con più accuratezza nell’insieme o in più dettagli. Contemporaneamente dava forma a bei bozzetti in creta (modellabili, se tenuti umidi, per lungo tempo) o più raramente in gesso, con i quali iniziava a plasmare fisicamente l’opera. Realizzava poi dei modelletti in gesso e se doveva dar forma a bassorilievi, ne sviluppava l’idea anche su tele a monocromo. Nelle fasi successive, si serviva in larga parte del lavoro degli aiutanti, facendo eseguire, sotto la sua supervisione ed intervenendo direttamente nelle parti finali, un grande modello in creta, dal quale veniva tratto un fedele calco in gesso: per l’uno e per l’altro, al fine di garantirne la solidità, utilizzava un’anima interna di sostegno (ferro, filo di ferro e talvolta legno), quasi come fosse uno scheletro. Dal modello in gesso, minato da una miriade di tubicini grazie ai quali, con un apposito complesso marchingegno di telai, squadre e piombi, ne potevano essere riportate le misure e le proporzioni esatte, gli aiutanti procedevano a sbozzare il marmo fermandosi ad un certo punto per lasciare un velo di alcuni millimetri, sul quale il maestro interveniva con la cosiddetta “ultima mano”: per Canova quest’ultima fase era talmente importante, che la eseguiva con una minuziosa ed accurata insistenza, quasi maniacale. Fatto ciò, il marmo veniva lucidato e trattato in modo tale da conferirgli la voluta patina.

ANTONIO CANOVA (Possagno 1757 – 1822 Venezia), Venere Italica, 1804-1812, calco in gesso dal marmo, cm. 172 x 52 x 55, Possagno, Museo e Gipsoteca Antonio Canova (inv. 208); in deposito Casa dei Carraresi.

Nel ritratto di Antonio Canova che FranÇois Xavier Fabre realizza a Firenze nel 1812 (Montpellier, Musée Fabre) è collocata anche la scultura della Venere “moderna”, così definita dallo stesso Ugo Foscolo. Essa costituisce una delle iconografie più celebri del grande scultore di Possagno: accanto a Le Grazie, alla Ebe, ad Amore e Psiche, la Venere Italica ne costituisce l’emblema. Il marmo, oggi custodito alla Galleria Palatina di Firenze, rappresenta la nuova interpretazione che Antonio Canova propone della Venere Medici possibile preda dei francesi di Napoleone a Parigi nel 1802. Una Venere “d’invenzione”, come voleva dire lo scultore, che fosse “moderna” e, allo stesso tempo, capace di suggerire “l’orgoglio nazionale” defraudato dai francesi. Dal modello realizzato nel 1804 Antonio Canova tradusse in marmo i due esemplari oggi più conosciuti della statua. Una scultura era stata destinata al principe ereditario Ludwig di Baviera (Monaco, Residenzmuseum) mentre il secondo esemplare è quello della Galleria Palatina: “migliore” e con “molte variazioni”( Ugo Foscolo,15 ottobre 1812: lettera a Sigismondo Trecchi):.

A Possagno è conservato il modello in gesso e un secondo esemplare, sempre in gesso, oggi si trova in deposito alla Casa dei Carraresi di Treviso, opere che rappresentano delle testimonianze fondamentali per cogliere il valore dell’interpretazione che Canova realizza per sostituire il marmo antico.

Del resto si sa che della Venere furono prodotti altri due esemplari: uno era stato richiesto da Luciano Bonaparte poi fu ceduto al marchese di Landsdowne (Hearst San Simeon State Historical Monument, California) e un quarto venne destinato a Thomas Hope (Leeds, City Art Gallery).

Lo stesso Ugo Foscolo aveva sottolineato l’importanza dell’opera (15 ottobre 1812: lettera a Sigismondo Trecchi): “Non crediate – che spiri deità come l’altra, né quella celeste armonia: ma pare che il Canova – nel realizzare questa scultura paventasse la terribile gara dell’arte col greco scultore, onde abbellì la nuova dea di tutte quelle grazie che spirano un non so che di terreno, ma che muovono più facilmente il cuore fatto anch’esso d’argilla”. Lo stesso Rosini, d’altra parte, aveva evidenziato la naturalezza della postura della “bellissima donna” che procedeva ad asciugarsi con un atteggiamento spontaneo e disinvolto già introdotto dallo stesso scultore in altre Veneri, una per tutte La Sorpresa (Possagno, Museo e Gipsoteca Antonio Canova). D’altra parte già Isabella Teotochi Albrizzi (Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova, Pisa 1821-1824; Bassano del Grappa 2003).aveva rilevato come la statua antica – la Venere Medicea appunto – assumesse un atteggiamento molto più compito rispetto alla nuova Venere in cui con passionalità evidenziava i tratti psicologici, applicando canoni estetici già teorizzati da Lessing La Teotochi sottolineava come il Canova “d’una Venere nuova avesse fatto dono all’Italia, e raddolcita avesse per questo mezzo quella ferita, che aperto aveale nel cuore la partenza d’uno’ospite tanto amata? […] di forti e robuste penne sentendosi armato, può da sé solo slanciarsi alle sublimi ragioni del Bello; […]. Bello si è quindi il vedere, com’egli guidato da quel senso squisito di perfezione, che gli è naturale, cominciasse, formandola, dal soddisfare al desiderio comune, secondo il quale un poco più grandicella avrebbe dovuto rappresentarsi quell’antica meraviglia” (Idem, to I, p. 29).

ANTONIO CANOVA (Possagno 1757 – 1822 Venezia), Testa di Elena, gesso, cm. 69 x 35 x 30, collezione privata.

“Cantata da Omero, rabbellata da Ovidio, sculta da Canova, a cui più lieta fortuna arrise mai? […] la grandezza oltre natura […] concilj pure in questa speciosissima testa squisitamente, e con singolare e dolcissima gara, la gentilezza e la grazia”. Così sottolinea Isabella Teotochi Albrizzi che non esita a descriverla come “un mezzo guscio d’uovo” ed ancora “le cuopre a guisa di berretto la parte diretra del capo. Ricchissima massa di capelli non intrecciati, ma mollemente ondeggianti, glie lo contorna con vaghezza senza stringerlo, e allentandosi alquanto, ed allargandosi con mirabile grazia e naturalezza, viene ad allacciarle con bel nastro dietro la testa”.

Il celebre marmo, le cui bellezze sono state celebrate da lord Byron, raffigurante la regina di Troia, Elena, fu realizzato da Antonio Canova proprio per la contessa Isabella Teotochi Albrizzi nel 1811, ed oggi è conservato dagli eredi in una collezione privata.

I biografi dello scultore menzionano diverse repliche di questa testa, ciò faceva parte del metodo di lavoro del Canova per cui realizzava il marmo ricavandolo da un modello in gesso, oggi conservato a Possagno presso la Gipsoteca Canoviana.

I marmi trovarono immediata collocazione presso lord Castelereagh (Londra, Collection of Lord Londonderry), presso Charles Long (Collocazione londinese), e presso il polacco Ludwik Pac (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage). Da queste opere furono ricavati molti calchi destinati ai collezionisti e questo sistema fu praticato soprattutto con i gessi che, realizzati da una forma, venivano inviati ad accademie, amici e collezioni private (AS. Androsov, Testa di Elena, in Canova, a cura di S. Androsov, M. Guderzo, G. Pavanello, Milano 2003, pp. 400-401).

“Determinare per mezzo d’un oggetto visibile e meraviglioso, oltre cui non sappia vedere l’ardita immaginazione, quelle idee vaghe ed incerte, che dietro le antiche favole e le storie si creano le menti nostre della famosa Spartana, fu dato a quell’esimio Scultore, a cui il concepire della mente, e l’obbedir della mano sono la cosa medesima – scrive Isabella Teotochi Albrizzi – Sembra però che a crearne quale il vediamo l’archetipo felice, ispirato l’abbia il maggior de’ Vati, quel sommo Pittore, che tutto mirabilmente colorire sapendo, parve geloso così della sublime idea, che avea concepita di questa celeste donna, che temette d’infievolirla pingendola, e volle col mezzo soltanto delle meraviglie da essa operate rappresentarla alla nostra immaginazione, lasciando a ciascheduno fantasticare, ed a suo piacere vedere in lei la perfezione di quel bello ideale, di cui tutti portiamo nell’animo dalla natura impresso il desiderio, e quasi dissi d’istinto” (Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova, Pisa 1821-1824; Bassano del Grappa 2003, pp. to I, pp. 49-53).

Per magnificare la Testa di Elena è stato sottolineato il purismo geometrico, per cui lo scultore ha saputo risolvere un’ operazione matematica perfetta. Da notare anche l’ eccezionale volume ovale della calotta, circondata da una folta chioma. I capelli si dilatano in riccioli a spirale facendo da cornice al volto, assorto e meditabondo, colto in un’atmosfera vagamente sognante e misteriosa (O. Stefani, Antonio Canova. La statuaria, Milano 2004, p. 148), a sottolineare come nel momento della sua maturità Canova abbia creato capolavori di sublime bellezza.

100) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Venere Italica, 1804 - 1812, calco in gesso dal marmo, h. cm 172 x 52 x 55, Possagno, Museo e Gipsoteca Antonio Canova, in deposito presso Casa dei Carraresi in Treviso.

101) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), da, Testa di Elena, sec. XIX, gesso patinato, h. cm 69 x 35 x 30, Possagno, collezione privata.

102) - THOMAS LAWRENCE (Bristol, 1769 - Londra, 1830) attribuito a, Ritratto di Antonio Canova, inizi del sec. XIX, olio su carta incollata su tela, cm 54 x 45, Treviso, Musei Civici.

103) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Studio di figure dal Taccuino di disegni di Possagno, inizi del sec. XIX, matita su carta, fogli mm 135 x 208 circa, Possagno, Museo e Gipsoteca Antonio Canova (riproduzione gentilmente fornita da Bertoncello Artigrafiche, Cittadella - PD).

104) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Studio di figure dal Taccuino di disegni di Possagno, inizi del sec. XIX, matita su carta, fogli mm 135 x 208 circa, Possagno, Museo e Gipsoteca Antonio Canova (riproduzione gentilmente fornita da Bertoncello Artigrafiche, Cittadella - PD).

105) - LUIGIA GIULI (Ravenna, 1746/49 - Roma, 1811), Ritratto di Antonio Canova, fine del sec. XVIII, olio su tela, cm 28 x 23, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

106) - GIOVAN BATTISTA LAMPI (Romeno, Val Di Non 1751 - Vienna 1830), Ritratto di Antonio Canova, inizio del sec. XIX, olio su tela, cm 47 x 39, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

107) - ANTONIO D’ESTE (Venezia 1754 - 1837), Ritratto di Antonio Canova, inizio del sec. XIX, bronzo, cm 50 x 32 x 20, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

108) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., MARCO PIETRO VITALI (Venezia, 1755 - ancora attivo nel 1823) inc., Monumento funerario di Clemente XIV, II stato, dopo il 1787, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 918 x 594, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

109) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., STEINMILLER (sec. XIX) inc., Teseo vincitore de’ Centauri, sec. XIX, acquaforte su carta, matrice mm 318 x 194, Castelfranco Veneto, collezione Privata.

110) - INCISORE ANONIMO, Monumento funerario di Maria Cristina d'Austria, prima metà del sec. XIX, litografia acquerellata su carta, foglio mm 120 x 80 ca., Castelfranco Veneto, collezione Privata.

111) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., GIOVANNI BATTISTA BALESTRA (Bassano, 1774 - Roma, 1842) inc., Pietas, 1818, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 490 x 345, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

112) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., GIOVANNI BATTISTA BALESTRA (Bassano, 1774 - Roma, 1842) inc., La Mansuetudine, 1818, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 460 x 332, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

113) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., ANGELO BERTINI (Roma, prima metà del sec. XIX) inc., Ebe, 1818, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 470 x 335, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

114) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., GIOVANNI BATTISTA BALESTRA (Bassano, 1774 - Roma, 1842) inc., La Musa Polimnia, 1817 (?), acquaforte e bulino su carta, matrice mm 455 x 330, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

115) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., FERDINANDO CAVALLERI (Savigliano o Roccanigi, 17954 - Roma, 1865) dis., DOMENICO MARCHETTI (attivo a Roma tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del sec. XIX) inc., Erma di Saffo, 1820, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 545 x 385, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

116) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., inv., ANGELO BERTINI (Roma, prima metà del sec. XIX) inc., Dirce, 1821, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 420 x 545, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

117) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., DOMENICO MARCHETTI (attivo a Roma tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del sec. XIX) inc., Endimione dormiente, 1821, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 545 x 385, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

118) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., ANGELO BERTINI (Roma, prima metà del sec. XIX) inc., George Washington, 1819, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 450 x 325, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

119) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., LUIGI DURANTINI (Roma, 1792 - 1875) dis., PIETRO FONTANA (Bassano, 1762 - Roma, 1837) inc., L’Italia piangente, 1817, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 555 x 420, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

120) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., GIOVANNI TOGNOLI (Bieno, 1786 - Roma, 1862) dis., DOMENICO MARCHETTI (attivo a Roma tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del sec. XIX) inc., George Washington, 1819, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 450 x 320, Meduna di Livenza, collezione Franchi.

121) - BARTOLOMEO GAMBA, De’ Bassanesi Illustri, Bassano, Dalla Remondiniana, 1807, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

122) - ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), inv., P. BECCENI (sec. XIX) inc., Tomba di Alfieri (Firenze, Santa Croce) e Suo primo progetto, due incisioni riportate in Le opere postume di Vittorio Alfieri, Brescia, per Nicolò Bettoni, 1809, Castelfranco Veneto, collezione privata.

123) - FRANCESCO CONVENTI (Napoli, 1855 - ?), Venere che esce dal bagno, seconda metà del sec. XIX, bronzo, h. cm 24,5, Castelfranco Veneto, collezione privata.

124) - PIETRO CHEVALIER (Corfù, 1795 - Padova, 1864), Il tempio di Canova a Possagno, inizio del sec. XIX, litografia acquerellata su carta, parte figurata mm 160 x 225 ca., Castelfranco Veneto, collezione privata.

ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice, Possagno (Treviso), fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) degli anni 1901 – 1903, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 755) (opera fuori catalogo).

ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Venere, Possagno (Treviso), fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) degli anni 1901 – 1903, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 756) (opera fuori catalogo).

ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Danzatrice con cembali, Possagno (Treviso), fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) degli anni 1901 – 1903, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 758) (opera fuori catalogo).

ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Venere Italica, Possagno (Treviso), fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) degli anni 1901 – 1903, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 774) (opera fuori catalogo).

ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Autoritratto, Possagno (Treviso), fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) degli anni 1901 – 1903, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 779) (opera fuori catalogo).

ANTONIO CANOVA (Possagno, 1757 - Venezia, 1822), Creugante, Possagno (Treviso), fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) del 1901, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 783) (opera fuori catalogo).

Possagno (Treviso), Interno della Gipsoteca, fotografia di UMBERTO FINI (1866 – 1928) del 1901, riproduzione fotografica – Fondo Giuseppe Fini c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (F 765) (opera fuori catalogo).

Referenze fotografiche: Associazione Trevigiana Antiquari: nn. 1-2, 4-8, 13-19, 32, 38-39, 46-47, 49-53, 58, 60, 62-64, 68-72, 77-80, 82-88, 91-100, 103-104, 109-110, 122-124, 131-141, 159-179; figg. alle pp. 76, 78, 80, 82, 84, 88, 94, 135, 138. Biblioteca Comunale, Treviso: nn. 9, 11. Federico Andrisani, Padova: n. 48. Fortuny Tessuti Artistici, Venezia: nn. 142-158, fig. alla pagina 153. Grafiche Tassotti, Bassano del Grappa: nn. 54-57, 59, 61, 65, 67, 73-76, 81, 89, 90; fig. alla p. 86. Giuseppe Vanzella, Treviso: nn. 125-130. Isabella Minchio, Bassano del Grappa: nn. 20-21, 24-25, 31, 33-37, 40, 108, 121. Musei Civici, Treviso: n. 22. Museo d’Arte Medioevale e Moderna, Padova: nn. 41-45. Pierfrancesco Garola, Padova: nn. 23, 27-30. G. Pezzini Bernini, F. Fiorani, Canova e l’incisione, Ghedina & Tassotti Editori, Grafiche Tassotti, Bassano del Grappa (VI), 1994, pp. 97, 128, 179, 214, 240, 248-249, 253: nn. 111-120. T. Basso, A. Cason, Treviso ritrovata, Edizioni Canova Treviso, Stampa Grafiche Zoppelli s.r.l., Dosson (TV), 1995, pp. 16, 73, 86: nn. 3, 10, 12. E. Manzato, G.C.F. Villa, Una pinacoteca per l’Ottocento, Edizioni Canova, Zoppelli s.r.l., Dosson di Casier (TV), 2000, p. 44: n. 102. V. Messina, Domenico Carpinoni, Moma Edizioni, MyPrint, Clusone (BG), 2009, p. 35: n. 26. Arte a Venezia ai Tempi di Canova, Pieghevole della Galleria Nuova Arcadia di Luciano Franchi, Padova, s.d., pp. 1-2: n. 105-107.

Associazione Trevigiana Antiquari, via Venier n. 55 – 31100 TREVISO, tel. e fax 0422-1740255, cell. 345/4065428

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