ASSOCIAZIONE TREVIGIANA ANTIQUARI, Mostre, Collaterale 2009

Sezione 2. I Bassano e la loro bottega: tre generazioni di imprenditoria pittorica ai vertici del Rinascimento

Jacopo dal Ponte (Bassano, 1510 ca. – 1592), gli altri componenti della sua famiglia e la sua bottega, sono tutti forse meglio noti attraverso il nome della loro città d’origine, Bassano. Jacopo stesso firmava molti suoi dipinti con questo riferimento, quasi fosse un co-gnome. Ne citiamo alcuni esempi, privilegiando le varianti ed elencandoli cronologicamente: «JACOBUS A PONTE BASs. FAC.T» ne’ I tre fanciulli nella fornace di Bassano (1535-36); «Jacs a ponte / bassanensis. p. / in...» nel Ritratto di Memphis (1536-43 ca.); «JACs.BASSs.P» nella Pala di Asolo (1548-49); «...1556 / G. BASSAN P.t» nel Torquato Tasso di Kreuzlingen; «JACs. / BASSANESI / [PIN] GEBAT» nel Sacrificio di Noè di Postdam (1574-77ca.); «JAC. BASSANE / FACIBAT / MDLXXIV» nel Trasporto di Cristo di Padova; «JAC. BASS.» nella Costruzione dell’arca di Kroměříž (1578-79 ca.); «J.B.f. 1585» nella Susanna di Nîmes; e così via. In alcuni suoi disegni, inoltre, si legge: «Giacomo Bassano» in grafia seicentesca su uno studio di collezione privata a Chicago, «Bassano» in grafia settecentesca sulla Testa dell’Albertina di Vienna, semplicemente «Bassan» su un’iscrizione forse seicentesca sulla montatura della Visitazione degli Uffizi o «Jacopo da Ponte called il Bassano», in grafia probabilmente ottocentesca, su un altro studio di collezione privata. Se poi si vanno a vedere le incisioni riproducenti opere bassanesche, molte presenti anche in mostra, sin dalle tirature cinquecentesche il riferimento al nome Bassano è pressoché sempre presente: «Iacopo de ponto Bassanensis...», «Jac.i Bass.is...», «I. Bassan...» o «Giacomo Bassano...». Lo stesso dicasi per la storiografia sull’artista, dal Ridolfi al Volpato, dal Verci al Lanzi. D’altronde, all’epoca era piuttosto comune fare seguire il luogo d’origine al proprio nome; anzi, nel caso dei Bassano, la dicitura stessa “Dal Ponte” è un soprannome usato sin da quando il nonno paterno, Jacopo di Berto, aveva negozio di “pellizzaro”, conciatore, nei pressi del ponte cittadino (proveniente dall’altopiano di Asiago, prima ancora era detto “de Galio”), dove poi sarà pure la bottega. Nel contesto di una mostra come la nostra, è alquanto rilevante notare come la genialità di un artista, il suo valore, la sua importanza, la sua fama o quant’altro ancora, si trasmettano direttamente anche ai luoghi in cui è nato, ha vissuto, ha operato o si conservano sue opere particolarmente notevoli. Talvolta, addirittura, piccoli paesi di provincia devono in buona parte la loro notorietà proprio ad un artista che porta il loro nome: si pensi solo a Leonardo da Vinci, al Correggio, al Caravaggio. Lo stesso legame di un artista ad un luogo, al di là del nome, porta quella notorietà altrimenti impensabile: valga, per tutti, l’esempio di Giorgione per Castelfranco. È naturale poi supporre che, l’impiego del nome della località di provenienza nella firma di un’opera, venisse fatto quando il dipinto era destinato ad una committenza non cittadina ma di altro luogo, quasi come una sorta di marchio di provenienza. Artisti particolarmente geniali come Jacopo, la cui personalità e la cui arte si identificano strettamente con Bassano, hanno rappresentato, e rappresentano, quindi, un insostituibile mezzo di diffusione “pubblicitaria” per la città, la quale vede la propria immagine arricchirsi di un “plusvalore” qualitativo trasmesso poi a tutto quanto è ad essa legato, compreso l’universo imprenditoriale e lavorativo cui fa da culla. Terra d’origine di geni, l’Italia: ecco una componente fondamentale, ed impossibile da ricreare altrove, del Made in Italy nel mondo. Per noi stessi italiani, l’acquisto di un prodotto che porta la dicitura Made in Italy, ci dà subito una garanzia qualitativa a trecentosessanta gradi, tanto per la qualità esecutiva quanto per quella dei materiali usati. Al contrario, l’acquisto di un prodotto Made in China, invece, ci pone in una condizione di diffidenza e a volte di rifiuto: ma come cambierebbe la nostra opinione se quel Made in China venisse ad identificarsi con la cultura, la storia e l’arte della Cina antica? Non a caso, la Cina oggi, dai giochi olimpici alle mostre sul proprio patrimonio artistico di continuo promosse in tutto il mondo per investire in quella qualità che ancora le manca (forse già adesso, sotto molti aspetti, solo a livello d’immagine), è molto più attiva di tanti altri stati: se per il momento è una concorrente a livello quantitativo, lo sarà presto anche a livello qualitativo e l’immagine, il Made in..., in una globalizzazione che è anche mediatica, è sicuramente di determinante importanza!

La bottega dei Bassano è stata un’impresa aziendale, a conduzione famigliare, attiva per circa un secolo e mezzo. Francesco il Vecchio ne fu il capostipite, fondandola probabilmente nei primissimi anni del Cinquecento. Sotto la sua conduzione, si può dire la bottega avesse un’impostazione ancora sostanzialmente medievale: la ricerca delle commissioni avveniva in ambito locale e aveva carattere prevalentemente religioso, l’impianto compositivo delle opere era legato a soggetti iconograficamente tradizionali, la loro esecuzione realizzata con un fare pittorico tardo quattrocentesco, i pagamenti fatti, in una prima fase di acconto, generalmente in natura, con saldo poi in denaro. Al suo interno, vi erano impiegate più persone, addette alle varie mansioni che i lavori da eseguirsi richiedevano, dalla più umile a quella più impegnativa, che riguardava magari anche l’esecuzione di qualche particolare in un dipinto. A collaborare nell’impresa famigliare, non appena possibile, entrarono anche i due figli Jacopo ed Giambattista.

Di grande importanza in una trattazione come la nostra, è il Libro secondo del dare ed avere della famiglia Dal Ponte..., relativo ad un periodo compreso tra il 1512 ed il 1554; purtroppo solo uno dei quattro che la bottega dovette tenere sin dall’inizio come una sorta di registro contabile nel quale annotava ogni attività intrapresa. Tipico di ogni bottega dell’epoca, secondo i regolamenti dell’Arte dei “depentori” emanati a Venezia, questo libro ci informa, tuttavia, con dovizia di dettagli di come la bottega fosse un’officina artigiana aperta ad ogni genere di lavoro in qualche modo legato alla pittura, dall’esecuzione, ovviamente, di dipinti a quella di stemmi, gonfaloni, stendardi, insegne per negozi, sculture, cornici, decorazioni lignee, ceri da cerimonia, lampade e fin anche vestiti e calzature. Sorprende constatare che spesso questi lavori artigianali, per i quali si ricorreva anche a falegnami o fabbri esterni, erano quelli meglio pagati. Non ci si stupisce, allora, se, sotto la direzione di Francesco, la bottega fosse forse più artigianale che artistica. L’affermarsi della personalità di Jacopo dalla seconda metà del quarto decennio (il fratello Giambattista, attivo fin quasi alla metà del secolo, pur intervenendo in molti dipinti, fu prevalentemente solo un bravo artigiano), diede una svolta decisiva all’attività famigliare. Mandato dal padre, per fortuna accortosi delle sue eccezionali qualità artistiche, a studiare pittura a Venezia, Jacopo si aggiornò presto alle tendenze più moderne della pittura contemporanea. Alla morte del padre, quando la conduzione della bottega passò nelle sue mani, egli era ormai un artista di una nuova epoca, che sentiva il ruolo della sua professione con uno spirito già pienamente rinascimentale: lo prova anche, per quanto sembri marginale, il brevetto ottenuto assieme ad altri due pittori dal Senato veneziano nel 1535 per un «nuovo inzegno et modo... di far molini, siege, condur, alzar acque, seccar paludi...», attestante pure la sua vocazione imprenditoriale. Le commissioni, iniziarono a non essere più solo locali e di carattere religioso. La bottega rimase attiva, come prima, anche in tutti gli altri campi artigianali ma iniziò a dar sempre più spazio all’attività pittorica che, anche economicamente, divenne più rilevante. Il suo progredire artistico fu strabiliante e lo pose ben presto tra le maggiori personalità dell’epoca, accanto a Tiziano, Tintoretto, Paolo Veronese. Le iniziali influenze bonifacesche s’immergono nel Manierismo attraverso stimoli diversi, giuntegli da Tiziano, dal Pordenone, dal Lotto, dal Romanino, dal Moretto. Dalle stampe, coglie novità arrivate da lontano, altrimenti difficili da vedere direttamente, anche se a Venezia, dove ogni tanto torna, alcune non mancano certo. Nuovi spunti, a partire dagli anni Quaranta, sono tratti dalla pittura romana prima e da quella emiliana dopo, anche attraverso il filtro di artisti attivi in Laguna come il Salviati, lo Schiavone, il Porta. Nascono, allora, capolavori assoluti come l’Adorazione dei Magi di Edimburgo (1542 ca.), la Fuga in Egitto di Pasadena (1542-45 ca.), la Decollazione del Battista di Copenaghen (1550), forse in assoluto la sua opera più allucinata in senso manieristico, l’Andata al Calvario di Budapest (1552 ca.), l’Epulone di Cleveland (1554 ca.), il Miracolo della manna e delle coturnici di collezione privata (della metà del Sesto decennio ca.), solo per citarne alcuni. È un momento magico per l’artista (e felice per la critica, poiché gli interventi di bottega in tali capolavori sono assai marginali), capace adesso di stupire una committenza sempre più vasta, che gli permette di collocare le sue opere facilmente anche a Venezia senza più dover ricorrere alla mediazione di colleghi, perché la locale fraglia dei pittori impediva ai non iscritti di vendere di-rettamente nella capitale. Tutto questo successo, fa sì che demandi alla bottega sempre più, pur sotto la sua costante supervisione, la realizzazione di commesse locali di minor rilevanza; ma per i suoi collaboratori esegue studi di composizioni in disegni e bozzetti, più o meno accurati ed rifiniti, che loro vanno poi a realizzare e dove, in fase finale, egli spesso interviene per far correzioni e per dar “vita” alle parti principali, magari curando in toto interi volti o figure. Sempre più spesso, realizza anche disegni o piccole opere come promemoria per sé e per i lavoranti dei soggetti venduti, così che possano essere da modello per nuove esecuzioni o eventuali repliche. L’attività artigianale continua, ma diventa sempre più marginale.

Come tutte le altre aziende artistiche di grande successo anche quella dei Bassano, adesso, sfruttando il contesto storico del momento, non si limita a seguire l’onda di una moda, di un gusto o della cultura figurativa dell’epoca, ma si fa lei stessa propulsore di gusti e di mode, poiché l’artista, che ne sta a capo, non imita, crea. Verso la fine degli anni Cinquanta, si avverte una flessione nel manierismo “allucinato” di Jacopo a vantaggio di una ricerca compositiva più contenuta che pare spostare la sua attenzione verso un luminismo cromatico più accentuato, modellato su un colore più freddo ed illividito, di ascendenza veronesiana. Si nota un ritorno a quel naturalismo che aveva caratterizzato la sua arte sin dagli esordi, ma il colore, straordinariamente libero nei suoi cromatismi, trova una sua matericità ricca di infinite velature: la Crocifissione di San Teonisto (1562-63), oggi al Museo Civico di Treviso, ne rappresenta a tal riguardo un punto di svolta, pur annunciato da capolavori come, ad esempio, l’Adorazione di Vienna del 1555 ca. o il San Giovanni Battista di Bassano del 1558. Il paesaggio assume sempre più importanza e, su influenze che gli giungono d’oltralpe (Bassano, in fondo, deve gran parte della sua fortuna economica all’essere punto di sosta tra Venezia ed il Nord d’Europa), iniziano ad aver vita alcuni tra i più stupefacenti notturni di tutta la storia dell’arte. In queste opere, il pretesto dei soggetti biblici sembra servirgli per ambientare delle scene di vita alquanto realistiche in un paesaggio che sembra liberarsi da ogni forma di idealizzazione per mostrarci la natura della terra veneta nei suoi aspetti più tipici di vita contadina e rurale, assumendo forse proprio per questo un valore simbolico di ben altra portata dove Cristo, davvero, scende tra la gente comune; ed in questa verità di raffigurazioni, inserisce brani di natura morta che paiono davvero, per la loro schiettezza rappresentativa, anticipare Caravaggio. Sono gli anni della Controriforma e Jacopo vi si adegua a suo modo, senza retorica o patetismi. E sono gli anni in cui Francesco, il più dotato artisticamente dei suoi quattro figli attivi al suo fianco, interviene in parti estese di dipinti importanti, firmandoli anche col proprio nome assieme a quello del padre. Ma sono gli anni anche in cui l’invenzione di paesaggi con scene di genere faranno la vera fortuna dei Bassano come bottega, fin al Seicento inoltrato (si vedano, a tal proposito le quattro stagioni presentate in mostra), talvolta a scapito della reputazione di Jacopo stesso. Jacopo inventa, e la bottega realizza a più mani, compresa quella del maestro. Il piccolo frammento qui esposto, dipinto sul recto e sul verso e probabilmente parte di uno stendardo da processione, che ci è giunto purtroppo in un pessimo stato di conservazione forse proprio a causa della sua destinazione pratica, ci aiuta a capire come questa collaborazione avveniva: l’idea compositiva spetta al maestro, che l’ha forse velocemente abbozzata sulla tela preparata da qualche garzone; il figlio Francesco ne ha sviluppato la composizione sulla quale il padre è tornato alla fine, per dar quei tocchi minuti e a punta di pennello che danno nervo e scatto alla raffigurazione.

A questo punto, ci sentiamo in dovere di fare un parallelo che può sembrare azzardato ma che solleva alcune considerazioni meritevoli di attenzione. Dal XIV secolo, la Repubblica di Venezia, per una molteplicità di fattori, che si accentueranno successivamente, attuerà una graduale trasformazione che da “Stato da mar” la porterà ad essere “Stato da terra”. La ricchissima aristocrazia veneziana inizierà ad investire i propri capitali in terraferma, dove sin dal Quattrocento si costruirà ville che erano a tutti gli effetti anche delle fattorie, perché il capitale doveva comunque fruttare reddito e l’agricoltura viene sistematicamente vista come importante risorsa economica. Palladio, nel Cinquecento, qualche decennio dopo la grande paura della Lega di Cambrai, sarà l’architetto che più di ogni altro saprà dar forma alle ville fattoria che, con le conseguenti grandi opere di bonifica idraulica, d’irrigazione, di disboscamento, porteranno ad una profonda trasformazione del nostro paesaggio, certo la più incisiva dopo quella romana (se si escludono le devastazioni della nostra epoca). Sulla spinta di nobili “illuminati” come Alvise Cornaro, che predicano i benefici di una concezione moderna e rinnovata dell’agricoltura, per merito della quale, afferma Gianni Moriani, «non è improprio dire che nel XVI secolo, con la “Santa Agricoltura”, è stato fatto il Veneto», si attua una forte rivalutazione ideologica della vita di campagna. Con la nuova filosofia del piacere di vivere in villa e con la nuova coscienza del “buon agricoltore”, non è da stupirsi se contemporaneamente cresca la richiesta di opere pittoriche che, come quelle di Jacopo, incarnassero davvero l’essenza stessa della vita rurale di campagna. Tanto più, se si considera che Jacopo non poteva non conoscere le vicine architetture del Palladio, del quale in un certo senso ne rappresenta, nella valenza appena detta, l’alter ego pittorico, così come gli affreschi che là vi dipingeva il Veronese, alla cui pittura, come accennato, da un certo momento iniziava a guardare con particolare interesse (anche con l’inserimento di alcune architetture, di gusto più classicheggiante che palladiano, nelle sue opere); Carletto Caliari poi, non si dimentichi, fu mandato proprio dal padre Paolo a bottega ai Biri da Francesco Bassano, quando questi aveva studio nella vecchia casa di Tiziano.

Jacopo, come Palladio con le sue ville, nei paesaggi con scene di genere ha saputo farsi interprete di un mondo che stava cambiando e su questa fortuna artistica la sua bottega, con Francesco (1578) e Leandro (1588) trasferiti a Venezia, come in fine farà anche Gerolamo (1595), e Giambattista, il meno dotato, a portarne avanti la conduzione (che continuerà dinasticamente sino alla metà del XVII secolo), ne speculò al punto tale che il maestro stesso, nei suoi ultimi anni, se ne allontanò, dipingendo impressionanti e spettrali capolavori di matericità pittorico-lumisitica che paiono voler continuare, per qualità ed intensità, l’eredità artistica lasciata dall’ultimo Tiziano.

18) - JACOPO BASSANO, JACOPO DAL PONTE detto (Bassano, 1510 ca. – 1592) e FRANCESCO BASSANO il GIOVANE, FRANCESCO DAL PONTE detto (Bassano, 1549 ca. – Venezia, 1592), Orazione nell’orto (recto, 18a), Fuga in Egitto (verso, 18b), 1570 – 1575 ca., olio su tela, cm 21 x 10,5, Castelfranco Veneto, collezione privata.

19) - Orazione nell’orto (19a) e Fuga in Egitto (19b) da REMIGIO FIORENTINO, Epistole et Vengeli…”, In Venetia presso Nicolò Misserini, 1614, Castelfranco Veneto, collezione privata (il volume contiene n. 206 incisioni di ispirazione controriformistica e bassanesca).

20) - MATTEO FLORINI (SIENA, 1580 – 1612), Lazzaro ed il ricco Epulone (da Jacopo dal Ponte - ?), fine del XVI sec. ca., bulino su carta, matrice mm 230 x 285, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

21) - JAN SADELER (Bruxelles, 1550 – Venezia, 1600), Annuncio ad Abramo (da Jacopo dal Ponte), 1595, bulino su carta, matrice mm 214 x 264, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

22) - FRANCESCO BASSANO il GIOVANE, FRANCESCO DAL PONTE detto (Bassano, 1549 ca. – Venezia, 1592), attribuito a, Ritratto maschile, fine del sec. XVI, olio su tela, cm 71 x 61,5, Treviso, Musei Civici.

23) - FRANCESCO BASSANO il GIOVANE, FRANCESCO DAL PONTE detto (Bassano, 1549 ca. – Venezia, 1592), scuola di, Gesù scaccia i mercanti dal tempio, fine del sec. XVI, olio su tela, cm 155 x 183, Padova, collezione Antichità Garola.

24) - CORNELIS VISSCHER (Harlem, 1629 ca. – 1662), Esodo in terra di Canaan (da Jacopo dal Ponte - ?), II stato, 1655 – 1657 ca., acquaforte su carta, matrice mm 320 x 383, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

25) - CORNELIS VISSCHER (Harlem, 1629 ca. – 1662), Annuncio ai pastori (da Jacopo dal Ponte), II stato, 1655 – 1657 ca., acquaforte su carta, parte figurata mm 296 x 372, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

26) - HANS ROTTENHAMMER (Monaco, 1564 – Amburgo, 1625) e PAUL BRILL (Anversa, 1554 – Roma, 1626), già attribuito a, o DOMENICO CARPINONI (Clusone, 1566 – 1658), attribuito a, Cena in Emmaus (da Jacopo Bassano), fine del XVI – inizi del XVII sec., olio su tela, cm 85 x 108, Treviso, Musei Civici.

27) - PITTORE DELLA BOTTEGA DEI BASSANO, Allegoria della Primavera, sec. XVII, olio su tela, cm 104 x 140, Padova, collezione privata.

28) - PITTORE DELLA BOTTEGA DEI BASSANO, Allegoria dell’Estate, sec. XVII, olio su tela, cm 104 x 140, Padova, collezione privata.

29) - PITTORE DELLA BOTTEGA DEI BASSANO, Allegoria dell’Autunno, sec. XVII, olio su tela, cm 104 x 140, Padova, collezione privata.

30) - PITTORE DELLA BOTTEGA DEI BASSANO, Allegoria dell’Inverno, sec. XVII, olio su tela, cm 104 x 140, Padova, collezione privata.

31) - JAN SADELER (Bruxelles, 1550 – Venezia, 1600), Estate (da ignoto artista di ambito bassanesco), 1598 – 1600 ca., bulino su carta, matrice mm 215 x 285, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

32) - ANTOINE BOREL (Parigi, 1743 – 1810) dis., JOSEPH DE LONGUEIL (Givet, 1730 – Parigi, 11972) inc., Cristo guarisce il paralitico (da ignoto artista di ambito bassanesco), 1786 ca. - prima del 1792, acquaforte e bulino su carta, matrice mm 421 x 289, Castelfranco Veneto, collezione privata.

33) - JAN SADELER (Bruxelles, 1550 – Venezia, 1600), Inverno (da ignoto artista di ambito bassanesco), 1598 – 1600 ca., bulino su carta, matrice mm 213 x 287, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

34) - JAN VAN TROYEN (Bruxelles, 1610 – Venezia, 1666), Estate (da ignoto artista di ambito bassanesco), prima del 1660, acquaforte su carta, matrice mm 218 x 312, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

35) - CHARLES HUTIN HAGENMULLER (sec. XVIII) dis., PHILIP ANDREAS KILIAN (Augsburg, 1714 – 1759) inc., Cristo caccia i mercanti dal Tempio (da Jacopo dal Ponte), 1753 – 1757 ca., bulino e acquaforte su carta, matrice mm 405 x 458, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

36) - PIETRO VEDOVATO (Loria, 1775 – Bassano, 1847), Fuga in Egitto (da Jacopo dal Ponte), prima del 1817, acquaforte a granito su carta (Calcografia REMONDINI), matrice mm 461 x 447, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

37) - CARLO PAROLI (sec. XVIII – XIX) dis., PIETRO VEDOVATO (Loria, 1775 – Bassano, 1847) inc., Adorazione dei pastori (da Jacopo dal Ponte), prima del 1826, acquaforte a granito su carta (Calcografia REMONDINI), matrice mm 401 x 462, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

38) - ANTOINE BOREL (Parigi, 1743 - 1810) dis., JACQUES COUCHÉ (Abbeville, 1759 – ?) inc., Circoncisione (da Francesco dal Ponte), 1786 ca. – 1808 ca., acquaforte e bulino su carta, matrice interna mm 192 x 212, Castelfranco Veneto, collezione privata.

39) - FRA’ COSMO DA CASTELFRANCO, al sec. PAOLO PIAZZA (Castelfranco Veneto, 1560 - Venezia, 1620), RAPHAEL SADLER I (Anversa, 1560 ca. - Monaco, 1632), Compianto su Cristo morto, inizio del XVII sec., acquaforte su carta, parte figurata mm 290 x 390 ca., Castelfranco Veneto, collezione privata.

40) - JOHN BAPTIST JACKSON (Battersea, 1701 – Newcastle-upon-Tyne, 1780 ca.), Cucina (da ignoto artista di ambito bassanesco), prima del 1745, chiaroscuro a quattro legni su carta, matrice mm 562 x 385, Bassano del Grappa, collezione Minchio.

JACOPO BASSANO, JACOPO DAL PONTE detto (Bassano, 1510 ca. – 1592), Crocifissione, dall’ex Chiesta di San Teonisto (Treviso), riproduzione fotografica – Fondo Luigi Coletti, c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (C 745) (opera fuori catalogo).

FRANCESCO BASSANO il GIOVANE, FRANCESCO DAL PONTE detto (Bassano, 1549 ca. – Venezia, 1592), La Madonna appare a San Francesco, Chiesa di San Nicolò (Treviso), riproduzione fotografica – Fondo Luigi Coletti c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (C 837) (opera fuori catalogo).

LEANDRO BASSANO, LEANDRO DAL PONTE detto (Bassano, 1557 – Venezia, 1622), Il ritorno di Ulisse, collezione Balbi di Genova, Chiesa di San Nicolò (Treviso), riproduzione fotografica – Fondo Luigi Coletti c/o FAST – Foto Archivio Storico della Provincia di Treviso (C 1493) (opera fuori catalogo).

Referenze fotografiche: Associazione Trevigiana Antiquari: nn. 1-2, 4-8, 13-19, 32, 38-39, 46-47, 49-53, 58, 60, 62-64, 68-72, 77-80, 82-88, 91-100, 103-104, 109-110, 122-124, 131-141, 159-179; figg. alle pp. 76, 78, 80, 82, 84, 88, 94, 135, 138. Biblioteca Comunale, Treviso: nn. 9, 11. Federico Andrisani, Padova: n. 48. Fortuny Tessuti Artistici, Venezia: nn. 142-158, fig. alla pagina 153. Grafiche Tassotti, Bassano del Grappa: nn. 54-57, 59, 61, 65, 67, 73-76, 81, 89, 90; fig. alla p. 86. Giuseppe Vanzella, Treviso: nn. 125-130. Isabella Minchio, Bassano del Grappa: nn. 20-21, 24-25, 31, 33-37, 40, 108, 121. Musei Civici, Treviso: n. 22. Museo d’Arte Medioevale e Moderna, Padova: nn. 41-45. Pierfrancesco Garola, Padova: nn. 23, 27-30. G. Pezzini Bernini, F. Fiorani, Canova e l’incisione, Ghedina & Tassotti Editori, Grafiche Tassotti, Bassano del Grappa (VI), 1994, pp. 97, 128, 179, 214, 240, 248-249, 253: nn. 111-120. T. Basso, A. Cason, Treviso ritrovata, Edizioni Canova Treviso, Stampa Grafiche Zoppelli s.r.l., Dosson (TV), 1995, pp. 16, 73, 86: nn. 3, 10, 12. E. Manzato, G.C.F. Villa, Una pinacoteca per l’Ottocento, Edizioni Canova, Zoppelli s.r.l., Dosson di Casier (TV), 2000, p. 44: n. 102. V. Messina, Domenico Carpinoni, Moma Edizioni, MyPrint, Clusone (BG), 2009, p. 35: n. 26. Arte a Venezia ai Tempi di Canova, Pieghevole della Galleria Nuova Arcadia di Luciano Franchi, Padova, s.d., pp. 1-2: n. 105-107.

Associazione Trevigiana Antiquari, via Venier n. 55 – 31100 TREVISO, tel. e fax 0422-1740255, cell. 345/4065428

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