Galleria d'arte e d'antiquariato
presenta
PAESAGGIO A SAN ZENONE DEGLI EZZELINI TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
di
Marco Mondi
(tratto
da
Bordignon: Dal Paesaggio all'Arte, Rino Bordignon,
catalogo della mostra, San Zenone degli Ezzelini, Villa Marini-Rubelli, 4 settembre 2016 –
23 ottobre 2016, Ramon di Loria, 2016, pp. 10-15
Quando Canova,
agli inizi del XIX secolo, concepisce e fa realizzare il Tempio di Possagno,
compie un vero e proprio intervento paesaggistico: l'edificio non solo si
raccorda e si armonizza ma dialoga col paesaggio della nostra pedemontana che lo
avvolge, divenendone un perno essenziale che dà origine ad una nuova visione, ad
una nuova concezione del paesaggio stesso, sublimandolo. Non fa solo un
intervento “pittoresco” come, per alcuni aspetti aveva fatto Palladio con le sue
ville, che s'inserivano nel paesaggio in un continuo interscambio tra interno ed
esterno, tra costruzione e natura, dove l'edificio s'arricchiva della natura che
lo circondava ricambiandola ponendosi in essa come un elemento di decoro
prezioso, utile (spesso villa ed azienda agricola ad un tempo), variegato e
raffinato, pittoresco, appunto (come in un certo senso, proprio nell'ambito
della poetica del Pittoresco, sarà pure per parte dell'ultimo sviluppo della
gloriosa tradizione paesaggistica settecentesca veneta, frutto anche di una
concezione più immaginario-arcadica che reale). Canova pone un elemento
architettonico che ci introduce alla visione del paesaggio facendocela sentire
non solo come esperienza sensoria, come un qualcosa che si ammira e basta, ma
anche come visione che sale dallo stato del sentimento, dell'ammirazione a
quello del pensiero, della ragione e dell'etica sociale; pone il tempio come un
elemento dal quale si dirama e si ridisegna una nuova concezione paesaggistica,
facendoci percepire la “veduta” che lo circonda come lo spazio nel quale viviamo
quotidianamente, nel quale ci sentiamo pienamente immersi con e al di là del
semplice trasporto e dell'ammirazione che esso suscita in noi. E poiché il
Neoclassicismo è una fase di un movimento culturale molto più ampio quale è
quello del Romanticismo, Canova, neoclassico, inaugura da noi la nuova visione
del paesaggio romantico. Negli ultimi decenni dell'Ottocento, sarà proprio Noè
Bordignon a dare un'ulteriore spinta in avanti al paesaggismo del nostro
entroterra sostituendo al valore “sublime” del Tempio di Possagno il valore
“umano” dell'individuo che, di quella natura reale, ne è il vero protagonista:
se prima era un edificio, adesso è l'uomo, con la sua presenza, il suo lavoro,
la sua quotidianità, che ci guida ad una lettura, appunto, più umana e veritiera
del nostro paesaggio.
Noè Bordignon,
che per motivi di famiglia era legato a San Zenone degli Ezzelini ed al suo
territorio, dopo aver già maturato un proprio linguaggio figurativo, dopo esser
stato a Firenze, a Roma e fors'anche a Napoli, dopo aver avuto studio a Venezia
e a Castelfranco, sua città natale, decise di trasferirsi nella cittadina ai
piedi del Monte Grappa, dove vi resterà fino alla morte. San Zenone diverrà la
sua vera terra, il fulcro più sincero e sentito del suo universo artistico, del
suo Verismo realistico più alto. Perché? Certo, le proprietà di famiglia furono
determinanti; ma più determinante ancora, per un pittore che godeva da anni di
un solido successo e da anni riceveva numerose commissioni per lavori in
affresco o per semplici dipinti da cavalletto, che da anni inviava sue opere ad
alcune delle più significative esposizioni d'arte italiane e straniere, fu il
contesto paesaggistico e umano che là vi trovò. Al di là di un favoloso e antico
passato ezzeliniano, la morfologia collinare del territorio, a metà strada tra
la città di Bassano e la “decadente” e cosmopolita Asolo, si mostrava davvero
incantevole e consona alla sua indole: il colle col Santuario della Madonna
della Salute, la Torre degli Ezzelini, il convento dei PP. Passionisti, le Acque
delle Valli Scure, il Col Alto e il Col Piccolo e, quale fondale scenografico
(come giustamente fa notare Natalino Torresan, organizzatore e curatore di
questa mostra), il massiccio del Grappa, sono solo alcune delle evidenze di un
territorio che, ciò nonostante, rivelava il suo carattere più importante in una
comunità di persone per la quale genuinità di valori, moralità religiosa e
sociale, dovere del lavoro in simbiosi con quelle bellezze ambientali, erano
componenti essenziali ed insostituibili della sua vita di tutti i giorni, della
sua quotidianità.
La presenza di Noè Bordignon a San Zenone degli Ezzelini, fu
determinante per tutto il successivo sviluppo artistico del territorio. Il
piccolo paese della pedemontana, si trovò ad avere tra i suoi componenti una
personalità artistica di primo piano non solo della cultura figurativa del
nostro entroterra ma del Veneto e dell'Italia stessa. Una personalità artistica
che di quel territorio e di quella comunità non ne fu ospite, bensì parte
integrante poiché quei luoghi e quella gente gli appartenevano, gli rivelavano
un vissuto quotidiano che egli sentiva d'amare profondamente perché era il suo,
perché rappresentava il mondo a cui egli apparteneva e di cui, inevitabilmente,
nelle sue tele ne avrebbe cantata l'alta poesia. E, a tal proposito, basti
guardare un'opera come
Vita quotidiana a San Zenone, il cui
ductus
pittorico di altissima qualità, è capace di fondere il contenuto con la forma, i
valori della sua epoca con il linguaggio espressivo dei suoi tempi, e farci
sentire quel senso di armonia tra uomo, natura, lavoro e quotidianità che vi
trapela tanto forte da permetterci una lettura nuova, realistica, anche del
paesaggio stesso il quale, da scenario o fondale, si fa così parte integrante
d'un tutto che prende un senso di vita proprio grazie alla presenza dell'uomo.
Il definitivo trasferimento di Bordignon a San Zenone, consolidò ben
presto un raggruppamento di amici e suoi ammiratori che divenne un primo vero
embrione di un cenacolo cultural-artistico destinato ad allargarsi negli anni
successivi con sviluppi, si può dire, che arrivano sino ai nostri giorni.
Personalità come la poetessa Enrichetta Usuelli Ruzza, lo scultore Serafino
Ramazzotti, il pittore Andrea Favero, stabilirono un vero sodalizio di reciproca
stima e cordialità con Bordignon, al punto da trasfondere nelle loro opere
quanto il maestro sapeva “dire” con ben altra qualità: e si osservi, a tal
riguardo, il bel dipinto del Favero esposto in mostra (ma le stesse sculture del
Ramazzotti sono sovente pervase da quel realismo genuino che Bordignon, con
grande maestria, sapeva rendere). A questo cenacolo, non tardarono ad
affiancarsi altre personalità di spicco, tra le quali certamente la famiglia
Wolf Ferrari ne rappresentò uno stimolo per ampliarne gli orizzonti. August
Wolf, infatti, era un dignitoso pittore di origine tedesca, la cui cultura
mitteleuropea sollecitò i primi rudimenti artistici nei suoi cinque figli, dei
quali Ermanno e Teodoro svilupperanno con una forte personalità, uno come
compositore di fama internazionale, l'altro come pittore del “nuovo secolo”, un
loro proprio, chiaro linguaggio artistico. Questo consolidato cenacolo, non
tardò a coinvolgere, più o meno direttamente, le nuove generazioni di pittori e
scultori che a San Zenone e nel suo territorio si andavano formando. È il caso,
ad esempio, di Paolo Bonato o di Francesco Rebesco, come vedremo. Altro pittore
presente in mostra, sicuramente legato a Noè Bordignon, e che probabilmente
interagì con quel circolo, fu Vittorio Tessari:
Ai piedi del Grappa,
opera tra le sue più significative, sviluppa un soggetto che certamente è
piaciuto a Noè Bordignon, seppur meglio s’inquadra in una ricerca impegnata
all’interno del Realismo veneto tardo ottocentesco che già però s'affaccia nel
nuovo secolo. E a San Zenone, il nuovo secolo si apre con
Teodoro Wolf Ferrari.
Se Bordignon, di questo scenario cutural-artistico ne fu il primo e
imprescindibile polo, qualche decennio dopo lo stabilirsi pressoché
definitivamente di Teodoro Wolf Ferrari ne divenne il secondo; anzi, per la
concezione paesaggistica di quel territorio, ne fu il principale promotore.
Teodoro Wolf Ferrari diventò paesaggista davvero a San Zenone degli Ezzelini.
Arrivò, giovane, ancora carico di quello spirito “ribelle” che lo rese, a
Venezia, tra i più impegnati protagonisti di quel gruppo di giovani artisti di
Ca' Pesaro per cui, come ebbe a riportare Nino Barbantini in merito
all'esposizione capesarina del 1913, «...un
massimo foglio romano, stampava...
un articolo di due colonne,
giurando che Ca' Pesaro valeva più dei Giardini [cioè della
Biennale di Venezia]», al punto che taluni artisti belgi presenti alla Biennale
di quell'anno «...chiesero
di poter esporre d'allora tra i vivi di Ca' Pesaro invece che tra i morti dei
Giardini». Le opere di Wolf Ferrari esposte, anche
cronologicamente, lo mostrano un artista che, dopo le sperimentazioni capesarine
fatte in un ambiente decisamente moderno e anche d'avanguardia, individua nella
bellezze del paesaggio collinare e montuoso del territorio ezzeliniano una
incessante fonte d'ispirazione, tra Espressionismo e Impressionismo, nella quale
sa cogliere e ne sa fissare le mille atmosfere diverse, le mille sensazioni
descrittive differenti e, soprattutto, i mille irripetibili, ma reali, bagliori
e mutamenti di luce e di colore.
Si può dire, allora, che tra Noè Bordignon e
Teodoro Wolf Ferrari, pur con successivi inserimenti di altra natura, di altro
genere e di altra modernità, s'è dibattuta gran parte della cultura figurativa
di questo territorio, al punto che, da queste due personalità e dall'eredità
delle loro opere, ancora oggi non si può totalmente prescindere. Differente, al
contrario, è l'apporto portato, più o meno direttamente, nel territorio di San
Zenone da artisti di formazione diversa, d'indole diversa o di origine diversa.
Se, come s'accennava, Paolo Bonato va, giovanissimo, nella “casa-studio” di Noè
Bordignon e là riceve i suoi primi insegnamenti apprendendo subito lezioni che
saranno fondamentali per tutta la sua arte (la profondità delle cose genuine, la
semplicità e la sincerità della raffigurazione e,
in primis,
l’onestà pittorica), dopo le esperienze milanesi che lo avvicinano al
Divisionismo, sarà Teodoro Wolf Ferrari a spronarlo verso una felice e
disinvolta libertà esecutiva, grazie alla quale il suo pennello è guidato con
tocco sicuro nel descrivere motivi paesaggistici fedeli al reale tanto nelle
valenze topografiche quanto e soprattutto nella capacità si saper trasmettere la
poesia cromatica e l'intima atmosfera delle terre ritratte. Se, poi, Francesco
Rebesco, scultore, apprende anch'egli, giovane, importanti nozioni artistiche da
Noè Bordignon (come in scultura dal Ramazzotti), sarà il lungo sodalizio con
Wolf Ferrari a determinare in pittura, come nelle opere qui esposte, la sua
dedizione verso un paesaggismo che, con la grafia plastica del colore, darà vita
a vibranti vedute della sua terra. Per la rilevanza artistica di Francesco
Rebesco scultore, e per la quantità dei suoi lavori di cui il Comune di San
Zenone è in possesso, si vuole qui auspicare che ben presto si possa allestire
una gipsoteca regolarmente aperta al pubblico a lui dedicata, quale ulteriore e
significativo richiamo culturale del territorio, e non solo della stretta
pedemontana. Così se pure per Piergiorgio Rebesco, anch'egli principalmente
scultore, le lezioni di Teodoro Wolf Ferrari, per la sua pittura, furono
certamente determinanti, non si può non tener conto di tutti quegli altri
stimoli qui giunti grazie proprio a quei pittori che in questo territorio
trovarono un paesaggio superlativo a cui ispirarsi o ad influenze che giunsero
indirettamente da poetiche figurative che trovarono origini in ben altri
contesti. È il caso, ad esempio, di Bruno Gherri Moro, il cui brio parigino
farcito d'eclettismi e di esperienze internazionali contribuì non poco a
ravvivare la situazione figurativa dei nostri territori. Ma, come si può
facilmente individuare pure dalle opere dei pittori delle generazioni successive
qui presentate, stimoli indiretti giunsero anche da artisti come Gino Rossi,
Umberto Moggioli, Filippo de Pisis, Virgilio Guidi, Bruno Saetti, Fioravante
Seibezzi, Neno Mori, Marco Novati e tanti altri, fin anche ad Afro; nonché
giunsero lontane suggestioni da scomposizioni post-cubiste, da visioni onirico
surreali, da sintetismi cromatico-minimalisti, informali o di gestualità
segnico-espressiva. Inoltre, le edizioni di premi di pittura estemporanee
tenutesi alcuni decenni fa, portarono pittori di altre regioni a ritrarre la
pedemontana di San Zenone, personalità che pure lasciarono un segno; mentre
altri pittori giunsero negli anni a stabilirsi in questo territorio, talvolta
insegnando direttamente alle nuove generazione le loro esperienze figurative: è
il caso, tra i tanti, ad esempio, di
Bruno Barbero De Montel. Ancora, pittori di fama rinnovata, anche per
vicinanza territoriale contribuirono a fare di San Zenone degli Ezzilini davvero
una terra d'artisti: tra quelli presenti in mostra, si pensi solo alle diafane
evanescenze luminose di Angelo Gatto, alle costruzioni sintetico espressive di
Angelo Fassina o alle pirotecniche gestualità cromatico-descrittive di Lorenzo
Viola. Non v'è dubbio infine che, anche per la portata della sua arte, che va
ben al di là dei localismi, Giorgio Dario Paolucci rappresentò, alla metà del
secolo scorso, la più alta espressione cultural-figurativa del nostro
territorio: come si può vedere anche nel paesaggio esposto, la forza espressiva
delle sue opere, della sua pennellata decisa, pastosa, violenta e
drammaticamente inquietante, s'impregna di un colore forte e virile nella
descrizione di ininterrotti piani spaziali che si susseguono fino alla
lontananza dell'orizzonte per rivendicare quell'antica armonia oggi in agonia
che oramai può essere colta solo attraverso un sentimento tramutatosi in
sofferenza nell'animo dell'uomo; sofferenza aspramente denunciata ai nostri
occhi incapaci di percepirla se non per mezzo della drammatica, quasi ossessiva,
interpretazione dell'artista.
Marco Mondi
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