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TEODORO WOLF FERRARI

(Venezia, 1878 - San Zenone degli Ezzelini, 1945)

negli "Anni di Ca' Pesaro"

di Marco Mondi

 

  (Bozza dell'intervento su Teodoro Wolf Ferrari 1878 - 1945. Diario di un paesaggista - relatori Marco Mondi, Mario Guderzo, Federica Luser - tenuto le sera del 18 aprile 2006 presso gli spazi della Chiesetta dell'Angelo a Bassano del Grappa  nell'ambito degli Incontri Culturali di Primavera organizzati dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Bassano del Grappa)

 

Teodoro Wolf Ferrari, fratello del musicista e compositore Ermanno (Venezia, 1876 - 1948), nasce da Augusto Wolf (Monaco, 1842 – Venezia, 1915 ), pittore e copista tedesco, e Emilia Ferrari, veneziana: sin da giovane, egli si vantò di unire in sé l'indole romantica, pensosa, estetica ed idealistica del padre (quindi la cultura mitteleuropea) con la briosa, colorata vivacità del vibrato temperamento materno (quindi con la cultura veneziana e veneta). Entro questi due poli, si può dire, semplicisticamente, che si muove la vicenda figurativa del pittore, specie negli anni della sua prima maturità artistica, che coincide con gli anni di Ca' Pesaro (1908-1920).

 I protagonisti: - Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Verona, 1916);

- Guido Cadorin (Venezia, 1892 – 1976);

- Felice Casorati (Novara, 1886 – Torino, 1963);

- Mario Cavaglieri (Rovigo, 1887 - Peyloubert-par-Pavie, 1969);

- Benvenuto Disertori (Trento 1887 – Milano, 1969);

- Gennaro Favai (Venezia, 1879 – 1958);

- Tullio Garbari (Pergine, 1892 – Parigi, 1931);

- Arturo Martini (Treviso, 1889 – 1947);

- Napoleone Martinuzzi (Murano, 1892 – Venezia, 1977);

- Guido Marussig (Trieste, 1885 – Gorizia, 1972);

- Fabio Mauroner (Tissano –Udine, 1884 - Venezia, 1948);

- Umberto Moggioli (Trento, 1886 – Roma, 1919);

- Ubaldo Oppi (Bologna, 1889 – Vicenza, 1942);

- Gino Rossi (Venezia, 1884 – Treviso, 1947);

- Pio Semeghini (Quistello, Mantova, 1878 – Verona, 1963);

- Nino Springolo (Treviso, 1886 – 1975);

- Ugo Valeri (Piove di Sacco, 1874 – Venezia, 1911);

- Teodoro Wolf Ferrari (Venezia, 1878 - San Zenone degli Ezzelini, 1945);

- Vittorio Zecchin (Murano, 1878 – Venezia, 1947); ecc.

 I protagonisti nel 1910 avevano: - Nino Barbantini 26 anni;

- Umberto Boccioni 28 anni;

- Guido Cadorin 18 anni;

- Felice Casorati 24 anni;

- Mario Cavaglieri 23 anni;

- Benvenuto Disertori 23 anni;

- Gennaro Favai 31 anni;

- Tullio Garbari 18 anni;

- Arturo Martini 21 anni;

- Napoleone Martinuzzi 18 anni;

- Guido Marussig 25 anni;

- Fabio Mauroner 26 anni;

- Umberto Moggioli 24 anni;

- Ubaldo Oppi 21 anni;

- Gino Rossi 26 anni;

- Pio Semeghini 32 anni;

- Nino Springolo 24 anni;

- Ugo Valeri 36 anni;

- Teodoro Wolf Ferrari 32 anni;

- Vittorio Zecchin 32 anni; ecc.

 Le partecipazioni: - Umberto Boccioni 1910 (II);

- Guido Cadorin 1908 (I), 1909 (I), 1910 (I) (II), 1912, 1914, 1919;

- Felice Casorati 1913, 1919, 1920;

- Mario Cavaglieri 1909 (II), 1910 (II), 1912, 1913;

- Benvenuto Disertori 1912; 1913; 1919;

- Gennaro Favai 1908 (I) (II), 1909 (I) (II), 1911;

- Tullio Garbari 1910 (II), 1913;

- Arturo Martini 1908 (I) (II), 1910 (II), 1911, 1913, 1914, 1919, 1920;

- Napoleone Martinuzzi 1908 (II), 1909 (II), 1910 (I), 1913, 1914;

- Guido Marussig 1908 (I) (II), 1909 (II), 1910 (II), 1912, 1913;

- Fabio Mauroner 1909 (I), 1914, 1919;

- Umberto Moggioli 1909 (I), 1912, 1913, 1919;

- Ubaldo Oppi 1910 (I), 1912, 1913;

- Gino Rossi 1908 (I), 1909 (II), 1910 (I), 1911, 1913, 1919, 1920;

- Pio Semeghini 1919, 1920;

- Nino Springolo 1908 (I), 1914;

- Ugo Valeri 1909 (II), 1910 (I), 1911;

- Teodoro Wolf Ferrari 1910 (II), 1911, 1912, 1913, 1914, 1919, 1920;

- Vittorio Zecchin 1909 (I) (II), 1910 (I), 1912, 1913, 1914, 1919, 1920.

 Hanno avuto studio in Ca’ Pesaro: - Umberto Boccioni no;

- Guido Cadorin no;

- Felice Casorati no;

- Mario Cavaglieri no;

- Benvenuto Disertori no;

- Gennaro Favai 1901;

- Tullio Garbari no;

- Arturo Martini no;

- Napoleone Martinuzzi no;

- Guido Marussig 1912;

- Fabio Mauroner no;

- Umberto Moggioli no;

- Ubaldo Oppi no;

- Gino Rossi 1905, 1906;

- Pio Semeghini no;

- Nino Springolo no;

- Ugo Valeri no;

- Teodoro Wolf Ferrari no;

- Vittorio Zecchin no;

- Gli anni: le date fondamentali: - 1895, nascita della Biennale di Venezia;

- 1898, testamento della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa;

- 1907, arrivo di Nino Barbantini;

- 1908, inizio mostre di Ca' Pesaro;

- 1913, l'anno dello scandalo;

- 1920, inizio della "diaspora".

Lo scenario cultural-artistico della Venezia d'inizio secolo non si scostava poi di molto da quel provincialismo diffuso un po' ovunque in tutta l'Italia. L'isolamento, non solo geografico-lagunare, rendeva in ogni caso, nella città veneta, il prolungamento dell'humus ottocen­tesco nel nuovo secolo ricco di sfumature spiccatamente decadenti e del Decadentismo, Venezia, fu forse la città che più, oltre ad ispira­re, subì il fascino del mito estetico del Poeta-Vate Gabriele D’Annunzio, vero propulsore di gusto e cultura in tutta la penisola.

 - Influssi simbolico-decadenti:

-       fuga dalla realtà, ricerca estetica e estremamente intel­lettualizzata attraverso il ricorso al simbolo == SIMBOLISMO.

-       Da Wagner a Nietzsche, da Huysmans a Wilde e D'Annunzio, in un clima di simbolica evasione dalla realtà alla ricerca di una esistenza che riduce il tipo umano ad una dimensione estetica di culto, artifi­cioso ed eccentrico, della bellezza, si apre il periodo artistico del Decadentismo.

- Il DECADENTISMO è caratterizzato da:

- ansia del nuovo;

- moduli espressivi che  attingono dal fondo inespresso della realtà;

- concezione mistica e visione della poetica;

- sensazione di tragica  inquietudine;

- senso di solitudine dovuto alla frattura tra artista e società;

- morboso, raffinato vagheggiare del disfacimento e della morte.

 -       Ricollegabile al Simbolismo è l'ART NOUVEAU, la quale nasce come opposizione all'esaltazione e diffusione delle moderne tecniche dell'industria che portano ad uno scadimento del gusto artistico pro­vocato dall'avvento della macchina (teoria di William Morris, funzio­nalità e uso della produzione industriale sotto la visione decorativa dell'artista per avere oggetti artistici a basso costo disponibili non solo per una élite ma per chiunque).

Quindi concorrono: - opposizione all'eclettismo ottocentesco;

- influssi orientali e specialmente giapponesi;

- impiego di nuovi materiali.

-       Conseguenza dell'Art Nouveau == artigianato ad alto costo.

-         Ricerca generale di un qualcosa che va oltre la realtà, ricerca dell'autre, della verità nascosta. Nasce il dramma tra il soggetto e l'oggetto == sfida estetica, fuga nel simbolo o fuga in un paradiso perduto, dramma tra rapporto umano e mondo oggettivo esteriore, ricer­ca di resa obiettiva da un lato e intellettuale dall'altro dell'altro, dell'oggetto e così via.

- Gli anni nel dettaglio:

-         1887, Esposizione Nazionale di pittura e scultura.

-         1893, 19 aprile, seduta del Consiglio Comunale di Venezia dove si delibera di istituire una Esposizione artistica biennale nazionale, da inaugurarsi il 22 aprile 1894, assegnando un premio da dedicarsi al ricordo delle nozze delle LL.MM. Umberto e Margherita. A pensare l'iniziativa, sulla spinta della mostra del 1887, tre persona in primis: Riccardo Selvatico, sindaco della città, poeta, commediografo e letterato; Antonio Frade­letto, accademico d'indiscussa fama e capacità organizzativa; Giovanni Bordiga, scienziato umanista e filosofo acuto interessato alla vita sociale e politica. Fu Bartolomeo Bezzi a suggerire l'internazionalità della Biennale.

-         1895, si inaugura la prima Esposizione Internazionale della città di Venezia (definita <<la prima apertura dell'arte italiana in uno spazio europeo>>, ma inizialmente presentò l’arte alla moda di fine secolo - le prime Biennali, anche per i suggerimenti di Giovanni Boldini, sostanzialmente non accolsero, se non come sporadiche apparizioni, le innovazioni artistiche che andavano aprendo un nuovo cammino all'arte - da qui la reazione di Ca’ Pesaro): Fradeletto segretario; Boldini e le scelte espositive; lo scandalo del Supremo convegno di Giacomo Grosso: una tela oltraggiosa per una certa morale fin de siècle, che aveva suscitato sdegno anche da parte del futuro Papa Santo Pio X, in quanto <<offende altamente il pudore>> e per la quale ci si deve adoperare <<perché non sia messa in mostra>>. Nel ricco, suntuoso fa­sto decadente e mondano delle prime Esposizioni, bene accetto era solo lo scandalo da salotto. Il quadro maledetto di Giacomo Grosso ebbe, infatti, un enorme successo: fu premiato dal pubblico come migliore opera e poi addirittura portato in lucrosa tournée per l'America. <<Elles ne sont que des fleurs!>> commentò Sissi, l'Imperatrice Elisa­betta d'Austria, davanti alle giovani fanciulle del dipinto.

-         1896, il conte Filippo Grimani sindaco di Venezia (lo sarà fino al 1919, anno della sua morte).

-         1897, alla Biennale mostra di arte giapponese.

-         1898, 18 febbraio, testamento della duchessa Felicità Bevilacqua La Masa: donava al Comune di Venezia la mole longheniana di Palazzo Pesaro per istituirvi <<esposizioni permanenti di arte ed industrie veneziane... specie per i giovani artisti, ai quali è spesso interdetto l'ingresso alle grandi mostre, per cui sconosciuti e sfiduciati non hanno mezzi da farsi avanti, e sono soventi costretti a cedere il loro lavori a rivenduglioli ed incettatori che sono i loro vampiri>>. Altre clausole del testamento prevedevano la trasformazione in studi e ricoveri per quei giovani artisti di una parte del palazzo e di un'altra parte da destinarsi ad essere affittata allo scopo di ga­rantire un reddito per il funzionamento dell'Opera.

-         1899, 31 gennaio, morte della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa.

                     5 dicembre, accettazione del testamento della duchessa da parte del Comune di Venezia.

                        Alla Biennale mostra di opere di Giacomo Favretto (42 dipinti).

-         1901, primi studi di artisti a Ca' Pesaro.

 

Alla Biennale, mostra dei paesaggisti francesi degli anni Trenta (opere di Corot, Daubigny, Dupré, Millet, ecc.); Antonio Fontanesi (64 dipinti e 4 disegni); Auguste Rodin (20 sculture); Arnold Bocklin (12 dipinti).

-         1902, trasferimento a Ca' Pesaro (piano nobile) del Museo Internazionale d'Arte Moderna, che prima era a Palazzo Foscari (istituito nel 1897 per conservare le opere acquistate alla Biennale).

-         1903, alla Biennale Mostra Internazionale del Ritratto Moderno (48 opere di Boldini, Lavery, Sargent, Whistler, ecc.).

 Modigliani all'Accademia di Venezia.

 

-         1905, nascita ufficiale della fondazione "Opera Bevilacqua La Masa". L'intento iniziale fu quello di fare della Fondazione un organismo le­gato all'Istituzione artistica principale dove, alla fin fi­ne, potevano ripiegare ad esporre quei giovani che, anche per vere e proprie esigenze di spazio non erano accolti ai Giardini.

-         1907, arrivo del ventitreenne ferrarese Nino Barbantini, direttore del Museo Internazionale d'Arte Moderna e segretario generale dell'Opera Bevilacqua La Masa. La sua opera è affiancata da un Consiglio di Vigilanza e da una Giuria di Accettazione.

 

Alla Biennale, l'Arte del sogno, mostra internazionale curata da Galileo Chini, De Albertis, Novellini e Previati (opere di Alberto Martini, Marussig, Previati, F. von Stuck, ecc.).

 

-         1908, prime due mostre di Ca' Pesaro, con artisti veneziani noti (i tre Ciardi, Fragiacomo, Laurenti, Milesi, ecc. - ma anche giovani: Arturo Martini, Gino Rossi, Guido Marussig, Guido Cadorin, Gennaro Favai, Arturo Malossi, Umberto Martina, ecc.). La prima s'inaugura il 26 luglio. Non ci sono cataloghi. Complessivamente, nelle due mostre: 86 artisti, 332 opere. Guido Marussig fa il manifesto della mostra con il "Leon dea maega", simbolo già usato dalla Biennale; Fradeletto scrive a Barbantini di non farlo più.

 -         1909, due mostre di Ca' Pesaro, simili a quelle del 1908. Non ci sono cataloghi. Tra i giovani: Ugo Valeri, Gino Rossi, Mario Cavaglieri, Napoleone Martinuzzi, Guido Cadorin, Gennaro Favai, Umberto Martina, Emo Mazzetti, Fabio Mauroner, Ercole Sibellato, Vittorio Zecchin, Umberto Moggioli (che presentava una mostra di circa 40 "impressioni romane").

Alla Biennale, Franz von Stuck (31 dipinti e 4 sculture).

 

-         1910, due mostre di Ca' Pesaro (primi cataloghi); arrivo di Arturo Martini e di Gino Rossi: <<I fasti di Ca' Pesaro non ebbero inizio che nel 1910, quando ci raggiunsero due tele Il muto e La fanciulla in fiore, che a me e a pochissimi amici con gli occhi aperti parevano bellissime e levavamo a sette cieli. Era arrivata finalmente la staffetta della gioventù. Anzi la gioventù in persona aveva bussato alla nostra porta>>. Primavera: tra gli altri, Ugo Valeri, Guido Cadorin, Ubaldo Oppi.

 

Estate: a Ca' Pesaro mostra "futurista" di Boccioni (42 opere), presentata da Filippo Tommaso Marinetti (27 aprile lancio dei volantini dalla Torre dell'orologio in Piazza San Marco contro la "Venezia Passatista": <<Bruciamo le gondole poltrone a dondolo per cretini... Venga finalmente il segno della divina Luce Elettrica a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobiliata>>. Boccioni dona al Museo Internazionale d'Arte Moderna il suo dipinto Maestra di scena, chiesto poi per una mostra a Milano e sparito. Sempre alla esposizione d'estate, mostra Tullio Garbari (36 opere) e di Teodoro Wolf Ferrari (52 opere, decorò anche gli ambienti dell'ammezzato, su suo progetto e senza compenso, da qui si vede il suo entusiasmo per l'arte decorativa delle Secessioni). Tra gli altri: Luigi Scopinich, Umberto Martina, Mario Cavaglieri e alcuni progetti di architettura di Brenno Del Giudice. Per la prima volta cataloghi di gusto secessionista viennese. Una caratteristica di importanza fonda­mentale per Ca' Pesaro, evidenziata sin dalle prime esposi­zioni, fu che nelle sue sale accolse un gruppo di giovani artisti i quali non furono mai un movimento artistico. Era la conseguenza più logica per un'istituzione sorta con l'esplicita volontà di ospitare quei giovani <<sconosciuti e sfiduciati che non hanno i mezzi da farsi avanti>>. Questo ebbe il significato di una vera e propria apertura ad una visione artistica più moderna: le mostre palatine furono la culla delle più diverse tendenze e manifestazioni figurati­ve, le quali trovarono un corroboramento reciproco sorretto principalmente dalla giovanile foga di far arte innovativa. Nel decennio che rese glorioso il nome della Fondazione, ar­tisti dalla formazione, dalla tempra e dagli esiti differen­ti si trovarono ad operare uno affianco all'altro accomunati dall'esigenza di rompere definitivamente con la tradizione provinciale in cui, a Venezia in modo particolare, si era immersi. Fu una vera fucina la quale sfoggiò, e per la quale passarono, alcuni tra coloro che saranno gli artisti più significativi della prima metà del nostro secolo. Le porte di Ca' Pesaro, non rappresentando un unico movimento artistico, non vennero mai chiuse alle nuove tendenze artistiche che andavano maturando nell'Italia intera. Ca' Pesaro assunse il ruolo di palestra dove i giovani artisti poterono esercitarsi, nei loro primi anni di attività, per poi proseguire au­tonomamente la loro ricerca espressiva. Anche in tutto questo devono essere ravvisate, in parte, le cause della "diaspora" che seguì la fine della prima guerra mondiale, quando vennero a mancare le motivazioni basilari che sussistevano prima dell'evento bellico.

 

La Biennale anticipata di un anno per evitare la conco­mitanza con l'esposizione internazionale di Roma del 1911, si rivelò, da un lato, una chiusura nei confronti della nuo­va arte giovane particolarmente accentuata proprio perché quell'anno vennero soppresse le sale regionali ed istituita la "Sala della gioventù"; dall'altro lato però, pre­sentò tre importanti mostre, la retrospettiva di Courbet, la personale di Renoir e l'individuale di Klimt, che furono uno spiraglio di novità e speranze per i giovani artisti ed intellettuali dell'epoca (per molti artisti, la visione delle opere di Gustav Klimt alla Biennale del 1910, segna un momento fondamentale nello sviluppo artistico. Klimt si presentava con tutto il fascino di un'estetica raffinata all'inverosimile dove vivevano, in armonia assoluta, Oriente mistico e Occidente secessionista, dramma e gioia icastica, felicità d'esecuzione e evasione allusiva in un universo di fantastiche invenzioni, tanto ricercate, da trasformare la realtà da cui traevano spunto in sentita visione onirica saldamente legata al più profondo essere dell'intro­spezione umana). L'attenzione di tutti comunque, quell'anno, era rivolta all'VIII Esposizione Internazionale d'Arte. Scrisse Ardengo Soffici, il "toscano maledetto" come era soprannominato a Venezia: <<Monet, Degas, Cézanne, Toulou­se-Lautrec, sono questi i pittori e gli scultori che il si­gnor Fradeletto avrebbe dovuto supplicare con le mani in croce per indurli a mostrare nella sua Venezia che cosa vuol dire arte moderna e quali siano le aspirazioni e le espres­sioni dell'anima occidentale rinnovellata>>. La Biennale fu dunque deludente e, a contrario, la foga giovanile che regnava nelle sale di Ca' Pesaro suscitò subito gran clamore e speranze anche fuori della stessa città. La querelle tra le due istituzioni, che assumerà toni sempre più polemizzan­ti e accesi negli anni successivi, era così ufficialmente iniziata.

 

La Biennale del 1910 rifiuta d'esporre un dipinto di Pi­casso perché <<la sua novità avrebbe potuto scandalizzare il pubblico>> (incredibile a dirsi, Picasso fu per la prima volta accolto solo nel 1948!).

 

-         1911, 27 febbraio, morte accidentale di Ugo Valeri a Ca' Pesaro.

 

Solo mostra di primavera (quella dell'estate non si tenne perché si era diffuso il timore del colera, ricordato anche da Thomas Mann nella Morte a Venezia). Una sala di opere di Gino Rossi, una di Arturo Martini (18 pirografie, 12 illustrazioni di sonetti di Carducci, 2 sculture e 3 vasi in ceramica) e due di Ugo Valeri (alla cui memoria gli è dedicata una mostra). Tra gli altri, Teodoro Wolf Ferrari (2 opere), Gennaro Favai, Luigi Scopinich, Umberto Martina, Alessandro Pomi, Giulio Genovese, Ercole Sibellato, ecc.

 

-         1912, una mostra a Ca' Pesaro (catalogo con copertina di Oreste Licudis). Decisa apertura verso le arti decorative di gusto mitteleuropeo e francese: Teodoro Wolf Ferrari, protagonista, espone, oltre a dipinti (3), gioielli (realizzati su suo disegno da Antonio Passoni di Venezia) e 3 vetrate (realizzate dalla ditta Giuseppe Maffioli e C. di Venezia); decora due sale con pannelli decorativi, mobili e cuscini. Nelle due sale dove espone Wolf Ferrari, espongono anche Guido Marussig, Pieretto Bianco, Guido Cadorin, Luciano Sormani, Millo Bortoluzzi, Giulio Genovese, Oreste Licudis, ecc. Nelle altre sale, Ubaldo oppi (14 opere), Umberto Moggioli (14 opere), Luigi Scopinich (20 opere), Mario Cavaglieri (20 opere), Benvenuto Disertori (27 disegni). Gino Rossi ed Arturo Martini sono a Parigi e figurano al Salon d'Automne.

 

Teodoro Wolf Ferrari <<tutto preso dalle nuove idee liberty a favore dell'arte applicata che egli aveva ma­turato durante il lungo soggiorno a Monaco, volle portare anche nelle sale di Ca' Pesaro un'aria nuova proponendo tra i giovani un movimento chiamato l''Aratro'. Monaco, ancor più di Parigi, era allora negli ideali delle Biennali vene­ziane. Lo stesso catalogo di Ca' Pesaro del 1912 si ispira ad alcune riviste liberty di moda, come “Jugend” di Mona­co,  “Pan” di Berlino e “Ver Sacrum” di Vienna>>.  Lo stampo marcatamente secessionista che andava prendendo Ca' Pesaro, sempre restando, malgrado i vari tentativi, un gruppo d'artisti più che un movimento artistico, portò subito ad aver contatti con altri giovani romani che proprio quell'anno s'erano costituiti in un gruppo secessionista per reagire alla sorta di bazar ch'era stata l'Esposizione d'arte mon­diale del 1911. La presentazione del catalogo della mostra di Ca' Pesaro, riferendosi al gruppo dell'"Aratro", precisa l'intento finalizzato alle arti decorative dell'iniziativa: <<Un gruppo di artisti veneziani, persuasi dell'opportunità di ricondur­re anche da noi tutte le  manifestazioni dell'arte alla sua più genuina espressione, la decorazione, intendono sottomet­tersi a sé stessi e la loro produzione ad una comune regola di armonia, pur restando fedeli ad una propria ispirazione. Le due sale organizzate al pianterreno  di Palazzo Pesaro sono l'attuazione pratica di un primo tentativo in questo senso>>. La finalità era dunque rivolta alla rivalorizzazione delle arti minori, senza alcun vincolo stilistico che potes­se veramente incanalare ogni singolo artista in una ben pre­cisa tendenza figurativa.

 

Alla Biennale, Fernand Khnopff (22 dipinti). Teodoro Wolf Ferrari una opera alla Biennale.

 

Teodoro Wolf Ferrari, assieme ad altri, espone alla Prima Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione” a Roma, nella Sala del Gruppo Veneto.

 

-         1913, una mostra a Ca' Pesaro, la più famosa e quella dello "scandalo". Nino Barbantini ricorda che le opere esposte fecero scrive ad un giornalista <<che proprio lì a Venezia, contro le Biennali gloriose, si tramavano a due passi congiure ed attentati secessionisti. Poco dopo, un massimo foglio romano, stampava invece un articolo di due colonne, giurando che Ca' Pesaro valeva più dei Giardini>>. Divampò la polemica per tutta Venezia, chi a favore della Biennale chi a favore di Ca' Pesaro. Intanto la mostra palatina era visitatissima. Il Consiglio Comunale dedicò alla questione addirittura una seduta, dove fu proposta la chiusura, che sarebbe avvenuta se un gruppo di artisti belgi che esponevano alla Biennale non si fosse schierato a favore dei giovani artisti <<chiedendo di poter esporre d'allora in poi tra i vivi di Ca' Pesaro invece che tra i morti dei Giardini>>. Esponevano Arturo Martini (7 sculture e 7 acqueforti), Gino Rossi (11 dipinti), Tullio Garbari (31 opere), Felice Casorati (41 opere), Teodoro Wolf Ferrari (5 opere), Ubaldo Oppi (30 opere), Luigi Scopinich (10 opere), Umberto Moggioli, Napoleone Martinuzzi, Arturo Malossi, Guido Marussig, Mario Disertori, Vittorio Zecchin, ecc.

 

Alla sera, seguendo l'esempio di Moggioli, che già vi abitava, alcuni giovani artisti di Ca' Pesaro, assieme a Nino Barbantini, si ritiravano a Burano, cosicché quell'isola fu eletta a loro rifugio e fucina.

 

Teodoro Wolf Ferrari, assieme a Vittorio Zecchin, Vittore Zanetti Zilla (tra i più entusiasti in questo momento), Gino Rossi, Arturo Martini, Luigi Scopinich, Ubaldo Oppi, ecc., espone alla Seconda Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione” a Roma, nella Sala del Gruppo Veneto.

 

-         1914, nessuna mostra a Ca' Pesaro. Dopo le polemiche dell'anno precedente, per il 1914 sembrava che potesse nascere un progetto di collaborazione tra Ca' Pesaro e la Biennale. Ma, al seguito di diversi attriti (Biennale e Fradeletto), la mostra di Ca' Pesaro non si tenne. I giovani artisti provarono, allora, ad esporre alla Biennale, ma pochissimi furono accettati: da qui, l'Esposizione di Alcuni Artisti Rifiutati alla Biennale, che si tenne all'Hotel Excelsior del Lido (Arturo Martini fece il manifesto e Guido Cadorin la copertina del catalogo). In catalogo: <<Breve discorso per chiarire le ragioni di questa nostra manifestazione. Non furore iconoclasta contro i vecchi maestri[...] o ai danni della Biennale Veneziana ci sospinse ad essa[...] Noi siamo consapevoli che il ritmo della storia si alimenta perennemente di tendenze che si esauriscono e di altre che si de­terminano in arcane penombre prima di espandersi vittoriosa­mente alla gloria del sole: e attendiamo fidenti la nostra ora[...] E poiché la giuria dell'undicesima Esposizione ci ha respinti quali “pallidi ripetitori che non sanno né ove volgersi né ove mirare”, noi - pur rispecchiando indirizzi artistici diversi - abbiamo composti i nostri dissidi ideali in un affratellamento dignitoso per appellare alle competi­zioni artistiche. Abbiamo a tal uopo raccolte in una sala dell'Excelsior[...] le opere reiette[...] Non sta a noi pro­fetare[...] quale che sia la sorte che il futuro ci riserba, crediamo che non sarà stata pronunciata invano la nostra corretta e ferma parola di protesta quando siasi riconosciu­ta la nobiltà dei nostri intenti e l'ardore fattivo del no­stro entusiasmo". Esponevano: Guido Cadorin (7 dipinti e 6 piatti decorati), Gino Rossi (5 dipinti e 4 disegni), Nino Springolo (7 dipinti e 2 pastelli), Teodoro Wolf Ferrari (9 dipinti), Vittorio Zecchin (3 opere), Fabio Mauroner, Napoleone Martinuzzi (6 sculture), Arturo Martini, ecc. A corroborare questo clima di ribellione, parteggiato da tutti gli artisti più accorti del gruppo capesarino fu il rientro in Italia, di ritorno dalla tournée carichi di nuove energie, dei futuristi, sempre pronti ad affiancare nella polemica gli artisti veneziani.

 

Alla Biennale, James Ensor (25 dipinti e 8 incisioni), Emile Antoine Bourdelle (32 sculture), Giuseppe De Nittis (86 dipinti), e Mostra dei Divisionisti italiani e Mostra della xilografia contemporanea in Italia.

 

-         1915, sospeso tutto per la guerra. Nella seconda metà dell'anno, spinti dal clamore interventista, partenza di tanti giovani di Ca' Pesaro, molti come volontari, per le armi. L'entusiasmo iniziale fu ben presto soppiantato dalla fredda logica della realtà bellica e la guerra stessa, come ebbe a dire Gozzano, <<ritolse tutte le sue promesse>>.

 

Esce l'unico numero della rivista "I pazzi".

 

Teodoro Wolf Ferrari, assieme ad altri, espone alla Terza Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione” a Roma, nella Sala del Gruppo Veneto.

 

-         1916, Boccioni a Verona; Moggioli a Verona, poi, malato, a Roma; Garbari alla frontiera Austriaca, poi, malato, a Milano; Gino Rossi a Verona, poi ad Arzignano, quindi internato a Restatt; Arturo Martini a Vittorio Veneto, poi a Vado Ligure (dove conosce la sua futura moglie); Casorati in Trentino; ecc.

 

Morte di Boccioni, caduto a cavallo durante un'esercitazione a Verona.

 

-         1919, morte di Moggioli per la Spagnola.

 

U.G.A.: all'interno del gruppo capesarino, nell'organizzazione della mostra di quell'anno, l'Unione giovani artisti, sorta su ini­ziativa, tra gli altri, di Teodoro Wolf Ferrari, aveva creato dissidi. Artisti come Vittorio Zec­chin e Gino Rossi parteciperanno all'Unione ma non accettandone in tutto le idee. Gruppo sorto <<per la volontà dei giovani di costituirsi in associazione per affrontare, uniti, i problemi inerenti la difficile ripresa dell’attività artistica>> nel dopoguerra. Nel dicembre, per allargare le sue basi, l’U.G.A. si trasformò in Circolo Artistico (Teodoro Wolf Ferrari vicepresidente).

 

La mostra di Ca' Pesaro rappresento il grande ritorno: <<la più proficua palestra intellettuale dei giovani artisti che esista oggi in Italia>>. Gino Damerini, nella prefazione del catalogo, fa la storia delle primi esposizioni (copertina catalogo di Federico Cusin). La Giuria di Accettazione è composta da Gino Damerini, Gino Rossi, Ercole Sibellato, Teodoro Wolf Ferrari e Vittorio Zecchin. Alla mostra: Vittorio Zecchin (24 opere d'arte decorativa), Umberto Moggioli (alla cui memoria gli è dedicata una piccola mostra di 8 pitture e 4 litografie), Gino Rossi (8 pitture e alcuni disegni), Pio Semeghini (37 opere), Guido Balsamo Stella (23 acqueforti), Fabio Mauroner (6 acqueforti), Guido Cadorin (10 tempere e 1 mosaico), Arturo Martini (3 sculture, tra cui La monaca), Brenno Del Giudice (10 progetti di architettura), Felice Casorati (4 dipinti), Teodoro Wolf Ferrari (5 opere), Ercole Sibellato, Benvenuto Disertori, Guido Trentini, Cagnaccio di San Pietro, Giovanni Giuliani, ecc. Erano stati invitati anche Carlo Carrà, Sant'Elia, Soffici, che poi non parteciparono. <<La mostra fu definita il maggior convegno artistico, che si riapriva dopo la guerra>>.

 

-         1920, la mostra di Ca' Pesaro, dopo il successo di quella del 1919, era fortemente attesa, ma vi furono dall'alto pressioni su Barbantini e pressioni perché vi fosse l'elezione della Giuria di Accettazione e perché questa accettasse, in un certo senso, alla lettera il testamento della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa: da qui vi fu una sorta di Serrata del Maggior Consiglio, nel senso che la Giuria accetto pressoché tutti gli artisti veneziani ed escluse quelli non veneziani (o non residenti a Venezia) - con le 400 opere esposte, fu il trionfo dei mediocri. In più, Felice Casorati, che già aveva esposto a Ca' Pesaro e che era considerato uno del "gruppo storico" dei capesarini, nonché che aveva rifiutato di esporre alla Biennale di quell'anno (dov'era stato invitato: <<Non esporrò alla Biennale, perché preferisco la compagnia dei pochi che non esporranno alla confusa comunanza dei troppi>>), proprio per partecipare a Ca' Pesaro, fu escluso con  la scusa che non era veneziano. I gruppo storico dei capesarini, allora, con l'appoggio indiretto di Barbantini, disertarono per la prima volta la sede storica di Ca' Pesaro e decisero di esporre alla galleria Geri Bora-Levi in Piazza San Marco con la Mostra degli Artisti dissidenti di Ca' Pesaro. <<Si trattava di una presa di posizione clamorosa che per la prima volta allontanava  da Ca' Pesaro, cioè dalla sede sto­rica, un gruppo di artisti tra i più rappresentativi della ricerca veneziana del tempo>>.  Un articolo comparso ne' "La Gazzetta di Venezia" dei primi giorni di  luglio, e riportato poi all'interno della  presentazione nel catalogo della mostra, precisa: <<I sottoscritti venuti a conoscenza dei nuovi criteri con i quali sarà organizzata quest'anno la Esposizione di Ca' Pesaro; criteri che, dovuti ad una agita­zione inconsulta ed infondata sotto tutti gli aspetti così giuridici per quanto riguarda la interpretazione del testamento della Duchessa Bevilacqua La Masa, come artistici, so­no stati accettati dal Commissario Regio, e contrastano con quelli che nei precedenti anni crebbero fama nazionale alle Esposizioni stesse; Considerato, che in base alle nuove di­sposizioni vengono esclusi specialmente quegli artisti i quali con il loro costante intervento richiamarono su Ca' Pesaro l'attenzione del mondo artistico, giovando in parti­colar modo ai giovani meno noti; considerato che l'agitazio­ne di cui sopra è ora rivolta ad ottenere l'allontanamento dalla Mostra di uno di questi artisti e precisamente di Fe­lice Casorati; protestano per le arbitrarie disposizioni intervenute a distruggere a beneficio di non si sa che, certo non dell'Arte, il lavoro compiuto fino alla IX Esposizione di Ca' Pesaro; e deliberano di astenersi da quella di quest'anno invitando quanti riconoscono la bontà di tale decisione ad uniformarvisi>>. Parteciparono: Arturo Martini (4 sculture), Gino Rossi (7 dipinti), Luigi Scopinich (4 dipinti), Pio Semeghini (22 opere), Teodoro Wolf Ferrari (10 dipinti e molte opere in vetro), Achille Funi, Guido Balsamo Stella, Vittorio Zecchin, ecc. Era davvero finita una stagione. L'evento bellico pose fine all'Otto­cento, spintosi ormai per quasi due decenni nel nuovo secolo, spense il mito estetico dannunziano e lasciò tra il popolo smarrimento e nuo­vi gravi problemi. L'Italia, delusa dalla "vittoria mutilata", dovette aprir gli occhi su una nazione socialmente e culturalmente diversa da quella che si credeva essere. Nel giro di meno di due anni, Venezia, la Biennale e Ca' Pesaro si trovarono ad essere prima il volto e subito dopo la maschera dell'Italia artistica del dopoguerra. La riapertura di Ca' Pesaro del 1919 fu definita, come già detto, <<il maggior convegno artistico che si aprì dopo la guerra>>. Spettava, nel 1920, alla Biennale allestire una esposizione che, oltre a proporre a livello nazionale ed internazionale un sunto delle più importanti espressioni figurative dell'anteguerra, accoglie­re anche le tendenze di quella che era l'arte del dopoguerra. Vittorio Pica ebbe l'accortezza, con l'aiuto di un commissario d'eccezione come Paul Signac (che pure esponeva 17 dipinti), di dare un panorama dell'Impressionismo e Postimpressionismo francese, nonché di accogliere opere di Van Gogh, Paul Cézanne (28 dipinti) e Archipen­ko (36 dipinti e 50 disegni), nonché una mostra di Moggioli (20 dipinti); ma d'altro lato, sotto le direttive comunali, dovette escludere proprio quelle avanguardie nazionali e locali che, con la mostra del 1919, reclamavano l'atteso riconoscimento. La Bien­nale dunque deluse e, ricorda Gino Rossi: <<Nessuna esposizione avrà tanti il­lusi e spostati come la Biennale di quest'anno. Basta leggere i nomi e noi li conosciamo tutti per quel che valgono. Per questa ragione io ti dico che non solo non abbiamo fatto un passo in avanti, ma che ci tro­viamo in una situazione che più penosa non potrebbe essere>>. Non fu, come spesso semplicisticamente si ripete, una ristrettezza di vedute: fu un ultimo, disperato, tentativo, che proseguì qualche anno, di rie­sumare la cultura ottocentesca. Ciò nonostante, la Biennale, con l’avvento di Vittorio Pica al posto di Fradeletto, pian piano, a partire dalle edizioni successive, si stava aprendo all’arte nuova ed ai giovani artisti di Ca’ Pesaro. Tutto questo, portò alla fine dei gloriosi anni di Ca' Pesaro che, anche se nelle edizioni successive si cerco di riportare, e anche se molti degli "artisti storici" tornarono ad esporvi per molte altre edizioni ancora, vide gradualmente una sorta di diaspora: Arturo Martini si avvicinò sempre più a Milano; Gino Rossi a Treviso, incamminandosi, incompreso e solo, passo dopo passo, verso la pazzia; Felice Casorati a Torino; Tullio Garbari a Milano; Vittorio Zecchin nella sua Murano; Pio Semeghini nella vicina Burano; Teodoro Wolf Ferrari a San Zenone degli Ezzelini; ecc.

 

 

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