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ELENCO DIPINTI, IN VENDITA E NON IN VENDITA, A DISPOSIZIONE DEGLI STUDIOSI
Galleria d'Arte ed Antiquariato
presenta
TEODORO WOLF FERRARI
(Venezia, 1878 - San Zenone degli
Ezzelini, 1945)
negli "Anni di Ca' Pesaro"
di Marco Mondi
I protagonisti: - Umberto Boccioni
(Reggio Calabria, 1882 – Verona, 1916);
- Guido Cadorin (Venezia, 1892 –
1976);
- Felice Casorati (Novara, 1886 –
Torino, 1963);
- Mario Cavaglieri (Rovigo, 1887 -
Peyloubert-par-Pavie, 1969);
- Benvenuto Disertori (Trento 1887 –
Milano, 1969);
- Gennaro Favai (Venezia, 1879 –
1958);
- Tullio Garbari (Pergine, 1892 –
Parigi, 1931);
- Arturo Martini (Treviso, 1889 –
1947);
- Napoleone Martinuzzi (Murano, 1892 –
Venezia, 1977);
- Guido Marussig (Trieste, 1885 –
Gorizia, 1972);
- Fabio Mauroner (Tissano –Udine, 1884
- Venezia, 1948);
- Umberto Moggioli (Trento, 1886 –
Roma, 1919);
- Ubaldo Oppi (Bologna, 1889 –
Vicenza, 1942);
- Gino Rossi (Venezia, 1884 – Treviso,
1947);
- Pio Semeghini (Quistello, Mantova,
1878 – Verona, 1963);
- Nino Springolo (Treviso, 1886 –
1975);
- Ugo Valeri (Piove di Sacco, 1874 –
Venezia, 1911);
- Teodoro Wolf Ferrari (Venezia, 1878
- San Zenone degli Ezzelini, 1945);
- Vittorio Zecchin (Murano, 1878 –
Venezia, 1947); ecc.
I protagonisti nel 1910
avevano: - Nino Barbantini 26 anni;
- Umberto Boccioni 28 anni;
- Guido Cadorin 18 anni;
- Felice Casorati 24 anni;
- Mario Cavaglieri 23 anni;
- Benvenuto Disertori 23 anni;
- Gennaro Favai 31 anni;
- Tullio Garbari 18 anni;
- Arturo Martini 21 anni;
- Napoleone Martinuzzi 18 anni;
- Guido Marussig 25 anni;
- Fabio Mauroner 26 anni;
- Umberto Moggioli 24 anni;
- Ubaldo Oppi 21 anni;
- Gino Rossi 26 anni;
- Pio Semeghini 32 anni;
- Nino Springolo 24 anni;
- Ugo Valeri 36 anni;
- Teodoro Wolf Ferrari 32 anni;
- Vittorio Zecchin 32 anni;
ecc.
Le partecipazioni: - Umberto Boccioni
1910 (II);
- Guido Cadorin 1908 (I), 1909 (I), 1910
(I) (II), 1912, 1914, 1919;
- Felice Casorati 1913, 1919, 1920;
- Mario Cavaglieri
1909 (II), 1910 (II), 1912, 1913;
- Benvenuto Disertori 1912; 1913; 1919;
- Gennaro Favai
1908 (I) (II), 1909 (I) (II), 1911;
- Tullio Garbari 1910 (II), 1913;
- Arturo Martini
1908 (I) (II), 1910 (II), 1911, 1913, 1914, 1919, 1920;
- Napoleone Martinuzzi 1908 (II), 1909
(II), 1910 (I), 1913, 1914;
- Guido Marussig 1908 (I) (II), 1909 (II),
1910 (II), 1912, 1913;
- Fabio Mauroner 1909 (I), 1914, 1919;
- Umberto Moggioli 1909 (I), 1912, 1913,
1919;
- Ubaldo Oppi 1910 (I), 1912, 1913;
- Gino Rossi 1908 (I), 1909 (II), 1910
(I), 1911, 1913, 1919, 1920;
- Pio Semeghini 1919, 1920;
- Nino Springolo 1908 (I), 1914;
- Ugo Valeri 1909 (II), 1910 (I), 1911;
- Teodoro Wolf Ferrari 1910 (II), 1911,
1912, 1913, 1914, 1919, 1920;
- Vittorio Zecchin 1909 (I) (II), 1910
(I), 1912, 1913, 1914, 1919, 1920.
Hanno avuto studio in Ca’ Pesaro: -
Umberto Boccioni no;
- Guido Cadorin no;
- Felice Casorati no;
- Mario Cavaglieri no;
- Benvenuto Disertori no;
- Gennaro Favai 1901;
- Tullio Garbari no;
- Arturo Martini no;
- Napoleone Martinuzzi no;
- Guido Marussig 1912;
- Fabio Mauroner no;
- Umberto Moggioli no;
- Ubaldo Oppi no;
- Gino Rossi 1905, 1906;
- Pio Semeghini no;
- Nino Springolo no;
- Ugo Valeri no;
- Teodoro Wolf Ferrari no;
- Vittorio Zecchin no;
- Gli anni: le date fondamentali: - 1895,
nascita della Biennale di Venezia;
- 1898, testamento della duchessa Felicita
Bevilacqua La Masa;
- 1907, arrivo di Nino Barbantini;
- 1908, inizio mostre di Ca' Pesaro;
- 1913, l'anno dello scandalo;
- 1920, inizio della "diaspora".
Lo scenario cultural-artistico della
Venezia d'inizio secolo non si scostava poi di molto da quel
provincialismo diffuso un po' ovunque in tutta l'Italia. L'isolamento,
non solo geografico-lagunare, rendeva in ogni caso, nella città veneta, il
prolungamento dell'humus ottocentesco nel nuovo secolo ricco
di sfumature spiccatamente decadenti e del Decadentismo, Venezia, fu forse
la città che più, oltre ad ispirare, subì il fascino del mito estetico del
Poeta-Vate Gabriele D’Annunzio, vero propulsore di gusto e cultura in tutta
la penisola.
- Influssi simbolico-decadenti:
- fuga dalla realtà, ricerca estetica e estremamente intellettualizzata attraverso il ricorso al simbolo == SIMBOLISMO.
- Da Wagner a Nietzsche, da Huysmans a Wilde e D'Annunzio, in un clima di simbolica evasione dalla realtà alla ricerca di una esistenza che riduce il tipo umano ad una dimensione estetica di culto, artificioso ed eccentrico, della bellezza, si apre il periodo artistico del Decadentismo.
- Il DECADENTISMO è caratterizzato da:
- ansia del nuovo;
- moduli espressivi che attingono dal fondo
inespresso della realtà;
- concezione mistica e visione della poetica;
- sensazione di tragica inquietudine;
- senso di solitudine dovuto alla frattura
tra artista e società;
- morboso, raffinato vagheggiare del
disfacimento e della morte.
- Ricollegabile al Simbolismo è l'ART NOUVEAU, la quale nasce come opposizione all'esaltazione e diffusione delle moderne tecniche dell'industria che portano ad uno scadimento del gusto artistico provocato dall'avvento della macchina (teoria di William Morris, funzionalità e uso della produzione industriale sotto la visione decorativa dell'artista per avere oggetti artistici a basso costo disponibili non solo per una élite ma per chiunque).
Quindi concorrono: - opposizione
all'eclettismo ottocentesco;
- influssi orientali e specialmente
giapponesi;
- impiego di nuovi materiali.
-
Conseguenza dell'Art Nouveau == artigianato ad alto costo.
-
Ricerca generale di un qualcosa che va oltre la realtà, ricerca dell'autre,
della verità nascosta. Nasce il dramma tra il soggetto e l'oggetto == sfida
estetica, fuga nel simbolo o fuga in un paradiso perduto, dramma tra
rapporto umano e mondo oggettivo esteriore, ricerca di resa obiettiva da un
lato e intellettuale dall'altro dell'altro, dell'oggetto e così via.
- Gli anni nel dettaglio:
- 1887, Esposizione Nazionale di pittura e scultura.
- 1893, 19 aprile, seduta del Consiglio Comunale di Venezia dove si delibera di istituire una Esposizione artistica biennale nazionale, da inaugurarsi il 22 aprile 1894, assegnando un premio da dedicarsi al ricordo delle nozze delle LL.MM. Umberto e Margherita. A pensare l'iniziativa, sulla spinta della mostra del 1887, tre persona in primis: Riccardo Selvatico, sindaco della città, poeta, commediografo e letterato; Antonio Fradeletto, accademico d'indiscussa fama e capacità organizzativa; Giovanni Bordiga, scienziato umanista e filosofo acuto interessato alla vita sociale e politica. Fu Bartolomeo Bezzi a suggerire l'internazionalità della Biennale.
- 1895, si inaugura la prima Esposizione Internazionale della città di Venezia (definita <<la prima apertura dell'arte italiana in uno spazio europeo>>, ma inizialmente presentò l’arte alla moda di fine secolo - le prime Biennali, anche per i suggerimenti di Giovanni Boldini, sostanzialmente non accolsero, se non come sporadiche apparizioni, le innovazioni artistiche che andavano aprendo un nuovo cammino all'arte - da qui la reazione di Ca’ Pesaro): Fradeletto segretario; Boldini e le scelte espositive; lo scandalo del Supremo convegno di Giacomo Grosso: una tela oltraggiosa per una certa morale fin de siècle, che aveva suscitato sdegno anche da parte del futuro Papa Santo Pio X, in quanto <<offende altamente il pudore>> e per la quale ci si deve adoperare <<perché non sia messa in mostra>>. Nel ricco, suntuoso fasto decadente e mondano delle prime Esposizioni, bene accetto era solo lo scandalo da salotto. Il quadro maledetto di Giacomo Grosso ebbe, infatti, un enorme successo: fu premiato dal pubblico come migliore opera e poi addirittura portato in lucrosa tournée per l'America. <<Elles ne sont que des fleurs!>> commentò Sissi, l'Imperatrice Elisabetta d'Austria, davanti alle giovani fanciulle del dipinto.
- 1896, il conte Filippo Grimani sindaco di Venezia (lo sarà fino al 1919, anno della sua morte).
- 1897, alla Biennale mostra di arte giapponese.
- 1898, 18 febbraio, testamento della duchessa Felicità Bevilacqua La Masa: donava al Comune di Venezia la mole longheniana di Palazzo Pesaro per istituirvi <<esposizioni permanenti di arte ed industrie veneziane... specie per i giovani artisti, ai quali è spesso interdetto l'ingresso alle grandi mostre, per cui sconosciuti e sfiduciati non hanno mezzi da farsi avanti, e sono soventi costretti a cedere il loro lavori a rivenduglioli ed incettatori che sono i loro vampiri>>. Altre clausole del testamento prevedevano la trasformazione in studi e ricoveri per quei giovani artisti di una parte del palazzo e di un'altra parte da destinarsi ad essere affittata allo scopo di garantire un reddito per il funzionamento dell'Opera.
-
1899, 31 gennaio, morte della duchessa Felicita Bevilacqua
La Masa.
Alla
Biennale mostra di opere di Giacomo Favretto (42 dipinti).
-
1901, primi studi di artisti a Ca' Pesaro.
Alla Biennale, mostra dei
paesaggisti francesi degli anni Trenta (opere di Corot, Daubigny, Dupré,
Millet, ecc.); Antonio Fontanesi (64 dipinti e 4 disegni); Auguste
Rodin (20 sculture); Arnold Bocklin (12 dipinti).
- 1902, trasferimento a Ca' Pesaro (piano nobile) del Museo Internazionale d'Arte Moderna, che prima era a Palazzo Foscari (istituito nel 1897 per conservare le opere acquistate alla Biennale).
- 1903, alla Biennale Mostra Internazionale del Ritratto Moderno (48 opere di Boldini, Lavery, Sargent, Whistler, ecc.).
Modigliani all'Accademia di Venezia.
- 1905, nascita ufficiale della fondazione "Opera Bevilacqua La Masa". L'intento iniziale fu quello di fare della Fondazione un organismo legato all'Istituzione artistica principale dove, alla fin fine, potevano ripiegare ad esporre quei giovani che, anche per vere e proprie esigenze di spazio non erano accolti ai Giardini.
-
1907, arrivo del ventitreenne ferrarese Nino Barbantini,
direttore del Museo Internazionale d'Arte Moderna e segretario
generale dell'Opera Bevilacqua La Masa. La sua opera è affiancata da un
Consiglio di Vigilanza e da una Giuria di Accettazione.
Alla Biennale, l'Arte del sogno,
mostra internazionale curata da Galileo Chini, De Albertis, Novellini e
Previati (opere di Alberto Martini, Marussig, Previati, F. von Stuck, ecc.).
- 1908, prime due mostre di Ca' Pesaro, con artisti veneziani noti (i tre Ciardi, Fragiacomo, Laurenti, Milesi, ecc. - ma anche giovani: Arturo Martini, Gino Rossi, Guido Marussig, Guido Cadorin, Gennaro Favai, Arturo Malossi, Umberto Martina, ecc.). La prima s'inaugura il 26 luglio. Non ci sono cataloghi. Complessivamente, nelle due mostre: 86 artisti, 332 opere. Guido Marussig fa il manifesto della mostra con il "Leon dea maega", simbolo già usato dalla Biennale; Fradeletto scrive a Barbantini di non farlo più.
-
1909, due mostre di Ca' Pesaro, simili a quelle del
1908. Non ci sono cataloghi. Tra i giovani: Ugo Valeri,
Gino Rossi, Mario Cavaglieri, Napoleone Martinuzzi, Guido Cadorin, Gennaro
Favai, Umberto Martina, Emo Mazzetti, Fabio Mauroner, Ercole Sibellato,
Vittorio Zecchin, Umberto Moggioli (che presentava una mostra di circa
40 "impressioni romane").
Alla Biennale, Franz von Stuck
(31 dipinti e 4 sculture).
-
1910, due mostre di Ca' Pesaro (primi cataloghi);
arrivo di Arturo Martini e di Gino Rossi: <<I fasti di Ca' Pesaro
non ebbero inizio che nel 1910, quando ci raggiunsero due tele Il muto
e La fanciulla in fiore, che a me e a pochissimi amici con gli
occhi aperti parevano bellissime e levavamo a sette cieli. Era arrivata
finalmente la staffetta della gioventù. Anzi la gioventù in persona aveva
bussato alla nostra porta>>. Primavera: tra gli altri, Ugo Valeri,
Guido Cadorin, Ubaldo Oppi.
Estate: a Ca' Pesaro mostra "futurista" di
Boccioni (42 opere), presentata da Filippo Tommaso Marinetti (27
aprile lancio dei volantini dalla Torre dell'orologio in Piazza
San Marco contro la "Venezia Passatista": <<Bruciamo le gondole poltrone
a dondolo per cretini... Venga finalmente il segno della divina Luce
Elettrica a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera
ammobiliata>>. Boccioni dona al Museo Internazionale d'Arte Moderna il
suo dipinto Maestra di scena, chiesto poi per una mostra a Milano e
sparito. Sempre alla esposizione d'estate, mostra Tullio Garbari (36
opere) e di Teodoro Wolf Ferrari (52 opere, decorò anche gli
ambienti dell'ammezzato, su suo progetto e senza compenso, da qui si
vede il suo entusiasmo per l'arte decorativa delle Secessioni). Tra gli
altri: Luigi Scopinich, Umberto Martina, Mario Cavaglieri e alcuni
progetti di architettura di Brenno Del Giudice. Per la prima volta
cataloghi di gusto secessionista viennese. Una caratteristica di
importanza fondamentale per Ca' Pesaro, evidenziata sin dalle prime
esposizioni, fu che nelle sue sale accolse un gruppo di giovani artisti
i quali non furono mai un movimento artistico. Era la conseguenza più
logica per un'istituzione sorta con l'esplicita volontà di ospitare quei
giovani <<sconosciuti e sfiduciati che non hanno i mezzi da farsi avanti>>.
Questo ebbe il significato di una vera e propria apertura ad una visione
artistica più moderna: le mostre palatine furono la culla delle più diverse
tendenze e manifestazioni figurative, le quali trovarono un corroboramento
reciproco sorretto principalmente dalla giovanile foga di far arte
innovativa. Nel decennio che rese glorioso il nome della Fondazione,
artisti dalla formazione, dalla tempra e dagli esiti differenti si
trovarono ad operare uno affianco all'altro accomunati dall'esigenza di
rompere definitivamente con la tradizione provinciale in cui, a Venezia in
modo particolare, si era immersi. Fu una vera fucina la quale sfoggiò, e per
la quale passarono, alcuni tra coloro che saranno gli artisti più
significativi della prima metà del nostro secolo. Le porte di Ca' Pesaro,
non rappresentando un unico movimento artistico, non vennero mai chiuse alle
nuove tendenze artistiche che andavano maturando nell'Italia intera. Ca'
Pesaro assunse il ruolo di palestra dove i giovani artisti poterono
esercitarsi, nei loro primi anni di attività, per poi proseguire
autonomamente la loro ricerca espressiva. Anche in tutto questo devono
essere ravvisate, in parte, le cause della "diaspora" che seguì la fine
della prima guerra mondiale, quando vennero a mancare le motivazioni
basilari che sussistevano prima dell'evento bellico.
La Biennale anticipata di un anno
per evitare la concomitanza con l'esposizione internazionale di Roma del
1911, si rivelò, da un lato, una chiusura nei confronti della
nuova arte giovane particolarmente accentuata proprio perché quell'anno
vennero soppresse le sale regionali ed istituita la "Sala della gioventù";
dall'altro lato però, presentò tre importanti mostre, la retrospettiva
di Courbet, la personale di Renoir e l'individuale di Klimt,
che furono uno spiraglio di novità e speranze per i giovani artisti ed
intellettuali dell'epoca (per molti artisti, la visione delle opere di
Gustav Klimt alla Biennale del 1910, segna un momento fondamentale nello
sviluppo artistico. Klimt si presentava con tutto il fascino di un'estetica
raffinata all'inverosimile dove vivevano, in armonia assoluta, Oriente
mistico e Occidente secessionista, dramma e gioia icastica, felicità
d'esecuzione e evasione allusiva in un universo di fantastiche invenzioni,
tanto ricercate, da trasformare la realtà da cui traevano spunto in sentita
visione onirica saldamente legata al più profondo essere dell'introspezione
umana). L'attenzione di tutti comunque, quell'anno, era rivolta all'VIII
Esposizione Internazionale d'Arte. Scrisse Ardengo Soffici, il "toscano
maledetto" come era soprannominato a Venezia: <<Monet, Degas, Cézanne,
Toulouse-Lautrec, sono questi i pittori e gli scultori che il signor
Fradeletto avrebbe dovuto supplicare con le mani in croce per indurli a
mostrare nella sua Venezia che cosa vuol dire arte moderna e quali siano le
aspirazioni e le espressioni dell'anima occidentale rinnovellata>>. La
Biennale fu dunque deludente e, a contrario, la foga giovanile che regnava
nelle sale di Ca' Pesaro suscitò subito gran clamore e speranze anche fuori
della stessa città. La querelle tra le due istituzioni, che
assumerà toni sempre più polemizzanti e accesi negli anni successivi, era
così ufficialmente iniziata.
La Biennale del 1910 rifiuta
d'esporre un dipinto di Picasso perché <<la sua novità avrebbe
potuto scandalizzare il pubblico>> (incredibile a dirsi, Picasso fu per
la prima volta accolto solo nel 1948!).
-
1911, 27 febbraio, morte
accidentale di Ugo Valeri a Ca' Pesaro.
Solo mostra di primavera
(quella dell'estate non si tenne perché si era diffuso il timore del
colera, ricordato anche da Thomas Mann nella Morte a Venezia).
Una sala di opere di Gino Rossi, una di Arturo Martini (18
pirografie, 12 illustrazioni di sonetti di Carducci, 2 sculture e 3 vasi in
ceramica) e due di Ugo Valeri (alla cui memoria gli è dedicata una
mostra). Tra gli altri, Teodoro Wolf Ferrari (2 opere), Gennaro
Favai, Luigi Scopinich, Umberto Martina, Alessandro
Pomi, Giulio Genovese, Ercole Sibellato, ecc.
-
1912, una mostra a Ca'
Pesaro (catalogo con copertina di Oreste Licudis). Decisa apertura
verso le arti decorative di gusto mitteleuropeo e francese: Teodoro
Wolf Ferrari, protagonista, espone, oltre a dipinti (3),
gioielli (realizzati su suo disegno da Antonio Passoni di Venezia) e
3 vetrate (realizzate dalla ditta Giuseppe Maffioli e C. di Venezia);
decora due sale con pannelli decorativi, mobili e cuscini. Nelle
due sale dove espone Wolf Ferrari, espongono anche Guido Marussig,
Pieretto Bianco, Guido Cadorin, Luciano Sormani,
Millo Bortoluzzi, Giulio Genovese, Oreste Licudis, ecc.
Nelle altre sale, Ubaldo oppi (14 opere), Umberto Moggioli
(14 opere), Luigi Scopinich (20 opere), Mario Cavaglieri (20
opere), Benvenuto Disertori (27 disegni). Gino Rossi ed Arturo
Martini sono a Parigi e figurano al Salon d'Automne.
Teodoro Wolf Ferrari
<<tutto preso dalle nuove idee liberty a favore dell'arte applicata
che egli aveva maturato durante il lungo soggiorno a Monaco, volle portare
anche nelle sale di Ca' Pesaro un'aria nuova proponendo tra i giovani un
movimento chiamato l''Aratro'. Monaco, ancor più di Parigi, era
allora negli ideali delle Biennali veneziane. Lo stesso catalogo di Ca'
Pesaro del 1912 si ispira ad alcune riviste liberty di moda, come “Jugend”
di Monaco, “Pan” di Berlino e “Ver Sacrum” di Vienna>>. Lo stampo
marcatamente secessionista che andava prendendo Ca' Pesaro, sempre
restando, malgrado i vari tentativi, un gruppo d'artisti più che un
movimento artistico, portò subito ad aver contatti con altri giovani romani
che proprio quell'anno s'erano costituiti in un gruppo secessionista per
reagire alla sorta di bazar ch'era stata l'Esposizione d'arte mondiale del
1911. La presentazione del catalogo della mostra di Ca' Pesaro,
riferendosi al gruppo dell'"Aratro", precisa l'intento finalizzato
alle arti decorative dell'iniziativa: <<Un gruppo di artisti veneziani,
persuasi dell'opportunità di ricondurre anche da noi tutte le
manifestazioni dell'arte alla sua più genuina espressione, la decorazione,
intendono sottomettersi a sé stessi e la loro produzione ad una comune
regola di armonia, pur restando fedeli ad una propria ispirazione. Le due
sale organizzate al pianterreno di Palazzo Pesaro sono l'attuazione pratica
di un primo tentativo in questo senso>>. La finalità era dunque rivolta
alla rivalorizzazione delle arti minori, senza alcun vincolo
stilistico che potesse veramente incanalare ogni singolo artista in una ben
precisa tendenza figurativa.
Alla Biennale, Fernand Khnopff
(22 dipinti). Teodoro Wolf Ferrari una opera alla Biennale.
Teodoro Wolf Ferrari,
assieme ad altri, espone alla Prima Esposizione Internazionale d’Arte
della “Secessione” a Roma, nella Sala del Gruppo Veneto.
-
1913, una mostra a Ca'
Pesaro, la più famosa e quella dello "scandalo". Nino Barbantini
ricorda che le opere esposte fecero scrive ad un giornalista <<che
proprio lì a Venezia, contro le Biennali gloriose, si tramavano a due passi
congiure ed attentati secessionisti. Poco dopo, un massimo foglio
romano, stampava invece un articolo di due colonne, giurando che Ca'
Pesaro valeva più dei Giardini>>. Divampò la polemica per tutta
Venezia, chi a favore della Biennale chi a favore di Ca' Pesaro. Intanto la
mostra palatina era visitatissima. Il Consiglio Comunale dedicò
alla questione addirittura una seduta, dove fu proposta la chiusura,
che sarebbe avvenuta se un gruppo di artisti belgi che esponevano alla
Biennale non si fosse schierato a favore dei giovani artisti <<chiedendo
di poter esporre d'allora in poi tra i vivi di Ca' Pesaro invece che tra i
morti dei Giardini>>. Esponevano Arturo Martini (7 sculture e
7 acqueforti), Gino Rossi (11 dipinti), Tullio Garbari (31
opere), Felice Casorati (41 opere), Teodoro Wolf Ferrari (5
opere), Ubaldo Oppi (30 opere), Luigi Scopinich (10 opere),
Umberto Moggioli, Napoleone Martinuzzi, Arturo Malossi,
Guido Marussig, Mario Disertori, Vittorio Zecchin, ecc.
Alla sera,
seguendo l'esempio di Moggioli, che già vi abitava, alcuni giovani
artisti di Ca' Pesaro, assieme a Nino Barbantini, si ritiravano a Burano,
cosicché quell'isola fu eletta a loro rifugio e fucina.
Teodoro Wolf Ferrari,
assieme a Vittorio Zecchin, Vittore Zanetti Zilla (tra i più
entusiasti in questo momento), Gino Rossi, Arturo Martini,
Luigi Scopinich, Ubaldo Oppi, ecc., espone alla Seconda
Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione” a Roma, nella Sala
del Gruppo Veneto.
-
1914,
nessuna mostra a Ca' Pesaro. Dopo le polemiche dell'anno precedente,
per il 1914 sembrava che potesse nascere un progetto di collaborazione
tra Ca' Pesaro e la Biennale. Ma, al seguito di diversi attriti
(Biennale e Fradeletto), la mostra di Ca' Pesaro non si tenne. I
giovani artisti provarono, allora, ad esporre alla Biennale, ma
pochissimi furono accettati: da qui, l'Esposizione di Alcuni Artisti
Rifiutati alla Biennale, che si tenne all'Hotel Excelsior del Lido
(Arturo Martini fece il manifesto e Guido Cadorin la copertina del
catalogo). In catalogo: <<Breve
discorso per chiarire le ragioni di questa nostra manifestazione. Non furore
iconoclasta contro i vecchi maestri[...] o ai danni della Biennale Veneziana
ci sospinse ad essa[...] Noi siamo consapevoli che il ritmo della storia si
alimenta perennemente di tendenze che si esauriscono e di altre che si
determinano in arcane penombre prima di espandersi vittoriosamente alla
gloria del sole: e attendiamo fidenti la nostra ora[...] E poiché la giuria
dell'undicesima Esposizione ci ha respinti quali “pallidi ripetitori che non
sanno né ove volgersi né ove mirare”, noi - pur rispecchiando indirizzi
artistici diversi - abbiamo composti i nostri dissidi ideali in un
affratellamento dignitoso per appellare alle competizioni artistiche.
Abbiamo a tal uopo raccolte in una sala dell'Excelsior[...] le opere
reiette[...] Non sta a noi profetare[...] quale che sia la sorte che il
futuro ci riserba, crediamo che non sarà stata pronunciata invano la nostra
corretta e ferma parola di protesta quando siasi riconosciuta la nobiltà
dei nostri intenti e l'ardore fattivo del nostro entusiasmo".
Esponevano: Guido Cadorin (7 dipinti e 6 piatti decorati), Gino Rossi (5
dipinti e 4 disegni), Nino Springolo (7 dipinti e 2 pastelli), Teodoro Wolf
Ferrari (9 dipinti), Vittorio Zecchin (3 opere), Fabio Mauroner, Napoleone
Martinuzzi (6 sculture), Arturo Martini, ecc. A corroborare questo clima di
ribellione, parteggiato da tutti gli artisti più accorti del gruppo
capesarino fu il rientro in Italia, di ritorno dalla tournée carichi
di nuove energie, dei futuristi, sempre pronti ad affiancare nella polemica
gli artisti veneziani.
Alla Biennale, James Ensor (25
dipinti e 8 incisioni), Emile Antoine Bourdelle (32 sculture),
Giuseppe De Nittis (86 dipinti), e Mostra dei Divisionisti italiani
e Mostra della xilografia contemporanea in Italia.
-
1915, sospeso tutto per
la guerra. Nella seconda metà dell'anno, spinti dal clamore
interventista, partenza di tanti giovani di Ca' Pesaro, molti come
volontari, per le armi. L'entusiasmo iniziale fu ben presto soppiantato
dalla fredda logica della realtà bellica e la guerra stessa, come ebbe a
dire Gozzano, <<ritolse tutte le sue promesse>>.
Esce l'unico numero della rivista "I
pazzi".
Teodoro Wolf Ferrari,
assieme ad altri, espone alla Terza Esposizione Internazionale d’Arte
della “Secessione” a Roma, nella Sala del Gruppo Veneto.
-
1916, Boccioni a
Verona; Moggioli a Verona, poi, malato, a Roma; Garbari alla
frontiera Austriaca, poi, malato, a Milano; Gino Rossi a Verona, poi
ad Arzignano, quindi internato a Restatt; Arturo Martini a Vittorio
Veneto, poi a Vado Ligure (dove conosce la sua futura moglie); Casorati
in Trentino; ecc.
Morte di Boccioni,
caduto a cavallo durante un'esercitazione a Verona.
-
1919, morte di Moggioli
per la Spagnola.
U.G.A.:
all'interno del gruppo capesarino, nell'organizzazione della mostra di
quell'anno, l'Unione giovani artisti, sorta su iniziativa, tra gli
altri, di Teodoro Wolf Ferrari, aveva creato dissidi. Artisti come
Vittorio Zecchin e Gino Rossi parteciperanno all'Unione ma non accettandone
in tutto le idee. Gruppo sorto <<per la volontà dei giovani di
costituirsi in associazione per affrontare, uniti, i problemi inerenti la
difficile ripresa dell’attività artistica>> nel dopoguerra. Nel
dicembre, per allargare le sue basi, l’U.G.A. si trasformò in Circolo
Artistico (Teodoro Wolf Ferrari vicepresidente).
La mostra di Ca' Pesaro rappresento il
grande ritorno: <<la più proficua palestra intellettuale dei
giovani artisti che esista oggi in Italia>>. Gino Damerini, nella
prefazione del catalogo, fa la storia delle primi esposizioni (copertina
catalogo di Federico Cusin). La Giuria di Accettazione è composta da
Gino Damerini, Gino Rossi, Ercole Sibellato, Teodoro Wolf Ferrari e Vittorio
Zecchin. Alla mostra: Vittorio Zecchin (24 opere d'arte decorativa),
Umberto Moggioli (alla cui memoria gli è dedicata una piccola mostra
di 8 pitture e 4 litografie), Gino Rossi (8 pitture e alcuni
disegni), Pio Semeghini (37 opere), Guido Balsamo Stella (23
acqueforti), Fabio Mauroner (6 acqueforti), Guido Cadorin (10
tempere e 1 mosaico), Arturo Martini (3 sculture, tra cui La
monaca), Brenno Del Giudice (10 progetti di architettura), Felice
Casorati (4 dipinti), Teodoro Wolf Ferrari (5 opere), Ercole
Sibellato, Benvenuto Disertori, Guido Trentini, Cagnaccio di San Pietro,
Giovanni Giuliani, ecc. Erano stati invitati anche Carlo Carrà, Sant'Elia,
Soffici, che poi non parteciparono. <<La mostra fu definita il maggior
convegno artistico, che si riapriva dopo la guerra>>.
-
1920, la mostra di
Ca' Pesaro, dopo il successo di quella del 1919, era fortemente
attesa, ma vi furono dall'alto pressioni su Barbantini e pressioni
perché vi fosse l'elezione della Giuria di Accettazione e perché questa
accettasse, in un certo senso, alla lettera il testamento della duchessa
Felicita Bevilacqua La Masa: da qui vi fu una sorta di Serrata del
Maggior Consiglio, nel senso che la Giuria accetto pressoché tutti gli
artisti veneziani ed escluse quelli non veneziani (o non residenti a
Venezia) - con le 400 opere esposte, fu il trionfo dei mediocri. In
più, Felice Casorati, che già aveva esposto a Ca' Pesaro e che era
considerato uno del "gruppo storico" dei capesarini, nonché che aveva
rifiutato di esporre alla Biennale di quell'anno (dov'era stato
invitato: <<Non esporrò alla Biennale, perché preferisco la compagnia dei
pochi che non esporranno alla confusa comunanza dei troppi>>), proprio
per partecipare a Ca' Pesaro, fu escluso con la scusa che non era
veneziano. I gruppo storico dei capesarini, allora, con l'appoggio
indiretto di Barbantini, disertarono per la prima volta la sede storica
di Ca' Pesaro e decisero di esporre alla galleria Geri Bora-Levi in
Piazza San Marco con la Mostra degli Artisti dissidenti di Ca' Pesaro.
<<Si trattava di una presa di posizione clamorosa che per la prima volta
allontanava da Ca' Pesaro, cioè dalla sede storica, un gruppo di artisti
tra i più rappresentativi della ricerca veneziana del tempo>>. Un
articolo comparso ne' "La Gazzetta di Venezia" dei primi giorni di luglio,
e riportato poi all'interno della presentazione nel catalogo della mostra,
precisa: <<I sottoscritti venuti a conoscenza dei nuovi criteri con i
quali sarà organizzata quest'anno la Esposizione di Ca' Pesaro; criteri che,
dovuti ad una agitazione inconsulta ed infondata sotto tutti gli aspetti
così giuridici per quanto riguarda la interpretazione del testamento della
Duchessa Bevilacqua La Masa, come artistici, sono stati accettati dal
Commissario Regio, e contrastano con quelli che nei precedenti anni crebbero
fama nazionale alle Esposizioni stesse; Considerato, che in base alle nuove
disposizioni vengono esclusi specialmente quegli artisti i quali con il
loro costante intervento richiamarono su Ca' Pesaro l'attenzione del mondo
artistico, giovando in particolar modo ai giovani meno noti; considerato
che l'agitazione di cui sopra è ora rivolta ad ottenere l'allontanamento
dalla Mostra di uno di questi artisti e precisamente di Felice Casorati;
protestano per le arbitrarie disposizioni intervenute a distruggere a
beneficio di non si sa che, certo non dell'Arte, il lavoro compiuto fino
alla IX Esposizione di Ca' Pesaro; e deliberano di astenersi da quella di
quest'anno invitando quanti riconoscono la bontà di tale decisione ad
uniformarvisi>>. Parteciparono: Arturo Martini (4 sculture),
Gino Rossi (7 dipinti), Luigi Scopinich (4 dipinti), Pio
Semeghini (22 opere), Teodoro Wolf Ferrari (10 dipinti e molte
opere in vetro), Achille Funi, Guido Balsamo Stella,
Vittorio Zecchin, ecc. Era davvero finita una stagione. L'evento
bellico pose fine all'Ottocento, spintosi ormai per quasi due decenni nel
nuovo secolo, spense il mito estetico dannunziano e lasciò tra il popolo
smarrimento e nuovi gravi problemi. L'Italia, delusa dalla "vittoria
mutilata", dovette aprir gli occhi su una nazione socialmente e
culturalmente diversa da quella che si credeva essere. Nel giro di meno di
due anni, Venezia, la Biennale e Ca' Pesaro si trovarono ad essere prima
il volto e subito dopo la maschera dell'Italia artistica del dopoguerra.
La riapertura di Ca' Pesaro del 1919 fu definita, come già detto, <<il
maggior convegno artistico che si aprì dopo la guerra>>. Spettava, nel
1920, alla Biennale allestire una esposizione che, oltre a proporre a
livello nazionale ed internazionale un sunto delle più importanti
espressioni figurative dell'anteguerra, accogliere anche le tendenze di
quella che era l'arte del dopoguerra. Vittorio Pica ebbe
l'accortezza, con l'aiuto di un commissario d'eccezione come Paul Signac
(che pure esponeva 17 dipinti), di dare un panorama dell'Impressionismo e
Postimpressionismo francese, nonché di accogliere opere di Van Gogh,
Paul Cézanne (28 dipinti) e Archipenko (36 dipinti e 50
disegni), nonché una mostra di Moggioli (20 dipinti); ma d'altro
lato, sotto le direttive comunali, dovette escludere proprio quelle
avanguardie nazionali e locali che, con la mostra del 1919, reclamavano
l'atteso riconoscimento. La Biennale dunque deluse e, ricorda
Gino Rossi: <<Nessuna esposizione avrà tanti illusi e spostati come la
Biennale di quest'anno. Basta leggere i nomi e noi li conosciamo tutti per
quel che valgono. Per questa ragione io ti dico che non solo non abbiamo
fatto un passo in avanti, ma che ci troviamo in una situazione che più
penosa non potrebbe essere>>. Non fu, come spesso semplicisticamente si
ripete, una ristrettezza di vedute: fu un ultimo, disperato, tentativo, che
proseguì qualche anno, di riesumare la cultura ottocentesca. Ciò
nonostante, la Biennale, con l’avvento di Vittorio Pica al posto di
Fradeletto, pian piano, a partire dalle edizioni successive, si stava
aprendo all’arte nuova ed ai giovani artisti di Ca’ Pesaro. Tutto questo,
portò alla fine dei gloriosi anni di Ca' Pesaro che, anche se nelle edizioni
successive si cerco di riportare, e anche se molti degli "artisti storici"
tornarono ad esporvi per molte altre edizioni ancora, vide gradualmente una
sorta di diaspora: Arturo Martini si avvicinò sempre più a
Milano; Gino Rossi a Treviso, incamminandosi, incompreso e solo,
passo dopo passo, verso la pazzia; Felice Casorati a Torino;
Tullio Garbari a Milano; Vittorio Zecchin nella sua Murano;
Pio Semeghini nella vicina Burano; Teodoro Wolf Ferrari a San
Zenone degli Ezzelini; ecc.
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