ΩΩΩ   Bordignon ha diversi figli, ma a uno di essi si sente particolarmente legato per la predisposizione di questi alla pittura: è Lazzaro, soprannominato Rino, natogli a Venezia nel 1889. Anche il figlio è molto legato al padre e, giovanissimo, segue i suoi insegnamenti, con l’intenzione esplicita di voler essere anch’egli pittore. Purtroppo, a sedici anni, nel settembre del 1906, Lazzaro Bordignon muore. Per il padre è una tragedia, cui solo il lavoro sembra riuscire a distoglierlo. Altre tragedie famigliari legate ai figli lo perseguitano e, nel maggio del 1913, dopo sei anni d’infermità, anche la moglie Maria lo abbandona. In una vita sempre più ritirata, lontano dai clamori del mondo, Noè Bordignon continua a dipingere forse più che per se stesso che per gli altri. I soggetti raffigurati sembrano perdere sempre più importanza, mentre il piacere che gli dà il suo lavoro pare concentrarsi, come fosse preghiera, nell’atto stesso del dipingere. La sua pittura si fa materica e densa, con cromatismi meno accesi ma carichi che infinite velature e pastosità del colore tratte con pennellate sicure e decise che, sotto molti versi, avvicinano molte sue ultime opere, a conferma dell’assonanza della sua indole artistica alla gloriosa tradizione veneta, alle ultime opere di Tiziano o di Jacopo Bassano, quando la forma sembra disfarsi nel colore che si plasma in materia e luce.

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