ΩΩΩ  Verso la fine del secolo, per “gelosie” di vario genere (compresa l'esclusione de’ La pappa al fogo dalla Biennale del 1895), per contrasti etici (e pur legali) e per non voler aderire alle elitarie logiche massoniche, Noè Bordignon sentì la necessità di abbandonare Venezia per ritirarsi nella sua Castelfranco e a San Zenone.

    Seppur nella città lagunare tornasse in più occasioni, il suo riavvicinarsi ai luoghi natii, inevitabilmente influenzò anche i soggetti della sua arte.

    Nelle opere eseguite più o meno a cavallo del secolo, Bordignon non può sottrarsi dal contemplare con partecipato trasporto la quotidianità della vita della sua gente e della sua terra, al punto d’arrivare a trasferirne sulla tela l’animo più genuino e l’emozione più veritiera di quell’epoca, di quella società e del suo ambiente paesaggistico e umano, divenendo così quel cantore altissimo di una realtà che non fu sentita come lo fu quella di tanti suoi colleghi che ritrassero magistralmente il nostro entroterra col distacco, però, verrebbe quasi da dire, di chi era in “villeggiatura”, ma di una realtà che fu sentita, partecipata e amata da dentro, vivendola e, soprattutto, capendola con una comprensione tale come forse solo Jacopo Bassano, prima di lui, seppe fare.

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