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    Come già detto, questi veloci cenni su alcune delle più significative esperienze figurative elaborate tra la fine '800 e i primi sessant'anni del '900, si sono resi necessari in questo contesto perché Luigi Stefani era, rifiutandolo, ben cosciente di quanto succedeva, ed era successo, in campo artistico, sia in Italia sia all'estero. Sin da bambino, infatti, il padre non tardò a condurlo con sé a visitare musei italiani e stranieri (in Francia, Olanda, Spagna, Germania e Svezia) e ad assistere a concerti a Venezia, Vienna, Salisburgo e in altre città d’Europa. In età matura, poi, continuò a viaggiare e a visitare mostre e musei.

    Egli decise ben presto, per propria scelta, di seguire un percorso artistico chiuso a molte delle novità dell'arte contemporanea, ricusando gli “sperimentalismi” del suo tempo. Sempre abbastanza aggiornato su quanto andava succedendogli attorno, la sua fu, pertanto, una scelta che maturò non per ignoranza bensì perché riteneva che, come ricorda Giampaolo Bordignon Favero, «davanti alle opere dei grandi maestri del passato… [constatando] con sconsolata amarezza nei riguardi dei contemporanei, ed in particolare della sua opera... quanto era stato fatto aveva raggiunto il limite del bello e che ogni tentativo del presente era inutilità ripetitiva…». Cosicché, a Barcellona, non aveva voluto vedere Picasso perché aveva dipinto le orrende deformazioni del mondo (G. Bordignon Favero).

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