Una giornata di eventi per la celebrazione dei
cent’anni dalla morte
di
NOÈ BORDIGNON
(Castelfranco Veneto, 1841 – San Zenone
degli Ezzelini, 1920),
organizzata dall'Associazione
Amici dei Musei e dei Monumenti di Castelfranco Veneto e della Castellana
in collaborazione col
Comune di Castelfranco Veneto
Martedì 8 Settembre 2020 - ore 18,00
Borgo Treviso, CASA BORDIGNON
ora Comacchio:
inaugurazione del restauro degli affreschi di
facciata alla presenza delle Autorità e della restauratrice BB.CC Mariateresa
Bonaldo, che illustrerà l’intervento.
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Martedì 8 Settembre 2020 - ore 19,30
OSTERIA MANISCALCO,
a lato di Porta del Musile (Porta Vicenza):
visita all’esposizione di oltre
40 opere di NOE’
BORDIGNON
La mostra sarà aperta dalle 15,00 fino alle
21,00, ora di inizio della conferenza.
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Noè Bordignon:
interprete geniale della cultura del nostro entroterra
tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento
Marco Mondi
Noè Bordignon nasce Salvarosa di Castelfranco il 3 settembre
1841, quarto di otto figli.
Non ebbe un’infanzia facile: la madre, Angela Dorella, morì a
trentasette anni, nel 1848; il padre, Domenico Lazzaro, sarto, fu costretto a
ricorrere all’aiuto della sorella Maria Luigia per crescere i figli, in una
situazione economica ben poco rosea.
Trasferitesi ad abitare a Castelfranco, il giovane Noè poté
frequentare la locale scuola, dove fu subito notata la sua propensione all'arte,
tant'è che non tardò a distinguersi nel disegno ornamentale. Terminati questi
primi studi, fu solo grazie all'interessamento e al sostegno economico di alcuni
privati e dello stesso Comune che poté iscriversi e frequentare la Regia
Accademia di Belle Arti di Venezia.
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L’ambiente artistico trovato da Bordignon a Venezia, oramai
alla vigilia della sua annessione a quello che sarà il Regno d’Italia, era un
ambiente fervido e ricco di molti stimoli; tuttavia, la cultura ufficiale
dell’epoca era ancora tutta farcita di un Romanticismo “provinciale”.
All’Accademia, dove seguì con particolare attenzione i corsi
di Michelangelo Grigoletti, Carlo De Blaas e Pompeo Marino Molmenti, e dove suoi
compagni di studio e amici furono personalità quali Guglielmo Ciardi, Luigi Nono
o Giacomo Favretto, gli insegnamenti vertevano a educare i giovani pittori a un
giusto apprendimento delle tecniche esecutive e a un presto discusso, ma
ufficialmente voluto e acclamato, "stile" figurativo didatticamente ispirato ai
modelli dei grandi artisti del passato nella preoccupazione, per lo più, di
ottenere una resa fedele della rappresentazione. L'ideale del bello fu, per
certi versi, l'ideale della somiglianza a tutti i costi, adattata a tematiche
ridondanti di motivi storico-mitologico-classiccheggianti. L'attenzione si
concentrò, allora, sul soggetto da trattare, enfaticamente farcito d'ogni genere
di pregiudiziale filosofica, teorica, poetica, morale, religiosa, politica, come
se il soggetto, così teatralmente mascherato, fosse l'unico fattore in grado di
innovare e differenziare un'opera da un'altra.
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Dei suoi primi anni di attività, si sa ben poco. Un nudo
accademico in collezione privata, forse dei disegni, alcuni ritratti, però, ci
fanno supporre sensatamente che i suoi più precoci e impegnati lavori non
dovessero poi scostarsi di molto dal gusto della pittura ufficiale dell’epoca,
appresa dagli insegnamenti dei suoi maestri.
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Il viaggio di studio a Roma rappresentò un momento
fondamentale non solo di questi suoi primi anni d’attività, ma per la sua intera
carriera. Infatti, in un certo senso come fu per Tiziano, quando tre secoli
prima se andò a Roma per “esaurire” la sua cosiddetta “crisi manieristica” e
reinventare così il colore della pittura veneta, pure per Noè Bordignon questo
lungo pensionato nella capitale (non senza rapporti con la pittura napoletana e
con l’ambiente artistico toscano e dei Macchiaioli), oltre alla necessità di
confrontarsi con una visione realistica tratta en plein air, rappresentò anche
l’occasione di vedere, conoscere e studiare l’arte allora più in voga del
Romanticismo italiano, con una particolare attenzione verso Puristi e Nazzareni,
e un passato artistico-culturale straordinario, che spaziava dall’antichità per
antonomasia al Rinascimento di Michelangelo e Raffaello, dal realismo di
Caravaggio al classicismo dei Carracci, di Reni e di Poussin, dal trionfo del
Barocco e di Bernini all’ambiente dell'Accademia di Francia e delle schiere dei
pensionanti francesi al Prix de Rome, da David a Ingres. Un universo figurativo,
insomma, che gli permise di dar sfogo a un apprendimento pittorico dal quale,
gradualmente, come fu per il cadorino, ritornerà a sentirsi e a voler essere
pienamente veneto, nel colore e nella composizione.
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La recente tesi di laurea su Noè Bordignon di Emiliano Covre
e il suo illuminante scritto pubblicato nel catalogo della mostra di San Zenone
degli Ezzelini del 2011, ci forniscono importanti e nuovi elementi sul suo primo
soggiorno romano, permettendoci di chiarire le vicende che gli meritarono il
pensionato triennale a Roma tra il 1871 e il 1874, nonché fornendoci un elenco
di opere che il giovane artista aveva realizzato in quegli anni. I contributi
del dott. Covre, inoltre, ci consentono di meglio interpretare la volontà di
Bordignon nel voler uscire dai tradizionali schemi di apprendimento accademico
per rivolgere la sua attenzione a una concezione più moderna del fare artistico,
aperta all’esigenza d’improntarne i lavori su di una visione tratta dal vero e
all’aria aperta tanto della natura quanto dell’uomo, confermandoci così una
predisposizione precoce verso il Realismo.
La
mosca cieca, capolavoro giovanile che le ricerche
di Emiliano Covre hanno permesso di anticipare al 1874 circa e riconoscerlo
quale saggio finale del suo pensionato romano, ne è un esempio illuminante,
dove, il sentimento aneddotico che ne esce, libera il dipinto da ogni teatralità
di messa in scena accademica a favore di una naturale esposizione del fatto
quotidiano.
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Nel 1874, al suo rientro a Castelfranco e a Venezia,
pertanto, Bordignon è un giovane artista che ha maturato molteplici esperienze,
utili a formargli una personalità pittorica capace di permettergli di
affrontare, su tela e in affresco, lavori anche impegnativi e di rilievo.
Nonostante avesse aperto uno studio a San Vio, sembra che
nell’Ottavo decennio dell’Ottocento Noè Bordignon ricevesse buona parte dei suoi
incarichi di lavoro più importanti nel campo dell'affresco e proprio nell'ambito
del territorio che da Castelfranco si estende fino a Bassano e alle porte di
Schio da un lato, a Vittorio Veneto e all’entroterra della vicina provincia di
Venezia dall'altro.
In questi lavori, vincolati compositivamente dalle richieste
dei committenti, egli riesce, talvolta magistralmente, soprattutto nei disegni
preparatori e nei bozzetti, a fondere la gloriosa tradizione veneta, un marcato
senso di realismo e un profondo senso di religiosità in soggetti prevalentemente
tratti dall'Antico e dal Nuovo Testamento.
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Quando nel 1880 gli fu conferita la «pensione
governativa per merito distinto», permettendogli di
tenere «studio ed alloggio gratuito a Palazzo
Rezzonico» (Luigi Dal Bello, 1982), Noè Bordignon
poteva considerarsi un giovane artista di successo anche a Venezia, città che da
questi anni e per oltre un decennio fu la principale sede della sua attività di
pittore, tanto più quando nel 1885 gli morì il padre e nel 1886 sposò la
veneziana Maria Zanchi, trasferendosi a vivere a Dorsoduro.
Negli anni Ottanta, per Bordignon e per la maggior parte
dei più dotati pittori veneti, prende avvio un periodo artistico davvero
straordinario che, sebbene un po’ in ritardo rispetto ad altre realtà, vede il
deciso affermarsi del Verismo anche in campo pittorico.
L’affermarsi (e il graduale mescolarsi con l’antica
nobiltà fino col finir a sostituirsi a essa), in città e in provincia, di una
nuova e ricca borghesia di estrazione fondamentalmente rurale e, solo in un
secondo momento, commerciale, inevitabilmente si riflette anche in campo
artistico, dove col cambiare della committenza cambia necessariamente il gusto
estetico, l'esigenza figurativa dell'artista e il suo ruolo all'interno della
società.
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Che, in questi anni, Bordignon sentisse con
particolare partecipazione la tematica della maternità, appare del tutto
naturale qualora si consideri che nel 1887 gli nacque Anna, nel 1889 Lazzaro
(Rino), nel 1891 Francesco, nel 1893 i gemelli Mariano Andrea (Edoardo) e Maria
e nel 1897 Giulia, che morirà il giorno dopo la nascita.
Tra le diverse tematiche affrontate dall'artista in
questi anni, e per tutto l’ultimo decennio del secolo, infatti, vi sono numerosi
interni nei quali ritrae, sempre con la sua consueta capacità di coglierne il
vero esteriore e interiore, momenti di fresca e genuina intimità domestica,
dove, il soggetto della maternità, è sviluppato con un dichiarato senso di
sacralità religiosa, quasi si trattasse della Madonna col Bambino.
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Il Realismo veristico,
caratterizzato da una genuina vena, vera e autoctona, fatta di raffigurazioni
aventi come soggetto la quotidianità cittadina, popolare e rurale, diviene il
genere prediletto e più sentito dalla nuova ricca borghesia e, quindi, dagli
artisti. Il popolo e le classi meno agiate in genere, sulle quali, appunto, si
fondava la ricchezza di questa nuova borghesia, sempre più spesso sono innalzate
a nuovo modello artistico. Qua e là, ogni rappresentazione s’imbeve di quella
vena romantica cui s’è fatto cenno e la produzione artistica di ogni singolo
pittore sembra sostanzialmente dividersi in due generi, spesso tra loro tangenti
e con tematiche similari: scenette di carattere popolare, come quelle prima
viste, tutte permeate di una spensierata e quasi gioiosa voglia di vivere, da un
lato, e scene con gli stessi ambienti e gli stessi personaggi presentati per la
loro testimonianza di realtà e condizione sociale, dall'altro, come ne' La
pappa al fogo (vero capolavoro della pittura veneta
dell'Ottocento) e ne' Gli emigranti di
Noè Bordignon.
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Per completare velocemente una panoramica delle opere di Noè
Bordignon eseguite in questi anni, o poco dopo, ed inviate per essere esposte a
mostre in Italia e all'estero e oggi conservate in ubicazioni sconosciute, in
collezioni private difficilmente accessibili o in collezioni pubbliche
straniere, si riportano di seguito alcune immagini di esse tratte da foto
d'epoca.
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In questo contesto, si vuol qui far notare, con un solo
esempio, come le opere di Noè Bordignon ebbero già allora indubbio successo, al
punto da essere copiate o replicate da artisti minori; anche in tempi recenti le
sue opere continuano ad essere copiate o, a volte, purtroppo, addirittura
falsificate.
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Verso la fine del
secolo, per “gelosie”
di vario genere (compresa l'esclusione de’ La pappa
al fogo dalla Biennale del 1895), per contrasti
etici (e pur legali) e per non voler aderire alle elitarie logiche massoniche,
Noè Bordignon sentì la necessità di abbandonare Venezia per ritirarsi nella sua
Castelfranco e a San Zenone.
Seppur nella città lagunare tornasse in più occasioni, il
suo riavvicinarsi ai luoghi natii, inevitabilmente influenzò anche i soggetti
della sua arte.
Nelle opere eseguite più o meno a cavallo del secolo,
Bordignon non poté sottrarsi dal contemplare con partecipato trasporto la
quotidianità della vita della sua gente e della sua terra, al punto d’arrivare a
trasferirne sulla tela l’animo più genuino e l’emozione più veritiera di
quell’epoca, di quella società e del suo ambiente paesaggistico e umano,
divenendo così quel cantore altissimo di una realtà che non fu sentita come lo
fu quella di tanti suoi colleghi che ritrassero magistralmente il nostro
entroterra col distacco, però, verrebbe quasi da dire, di chi era in
“villeggiatura”, ma di una realtà che fu sentita, partecipata e amata da dentro,
vivendola e, soprattutto, capendola con una comprensione tale come forse solo
Jacopo Bassano, prima di lui, seppe fare.
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Nel campo dell'affresco, l’ingente mole di lavoro
commissionatagli in ambito chiesastico (lavori che continueranno ad impegnarlo
fin quasi agli ultimi anni della sua vita), è inevitabilmente legato alla sua
vocazione e alla sua fede cristiano-cattolica nella quale è stato cresciuto e
educato, e che mai, in tutta la sua vita e in tutta la sua carriera artistica,
rinnegherà.
Le commissioni, tuttavia, gli giungono anche da privati,
com'è il caso della decorazione di una facciata di casa Canevaro-Passarin in
Bassano del Grappa, fattagli da Raffaele Passarin, personaggio di primo piano
nel mondo produttivo e culturale del bassanese, titolare di un’importante
fabbrica di ceramiche attiva tra Nove e Bassano.
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Se, a cavallo del secolo, Bordignon sembra abbia voluto
sperimentare, come ad esempio in Matelda o in La margherita, soluzioni
compositive e cromatiche dalle spiccate suggestioni simboliste e talvolta
letterarie, la sua vena espressiva più sincera e partecipata, pur investendola
talvolta anche di rimandi allusivi, rimase sempre sostanzialmente legata al
senso religioso della vita, alla sua sacralità, alla sua naturale semplicità e
al suo svolgersi quotidiano nell’ambiente sociale e umano che egli sente
profondamente suo.
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Nelle sue opere di questi anni, sembra che il lavoro non solo
sia parte necessaria della vita di tutti i giorni ma di essa ne sia parte
integrante, ne sia un tutt’uno. Il lavoro è un dono di Dio e come tale è un
dovere, che richiede sacrifici continui e gravosi, ma grazie al quale si cresce
innanzitutto nello spirito, si cresce nell’anima, si cresce nel nostro essere
più profondo, permettendoci così di essere cristianamente umili e devotamente
felici. È con questo senso di religiosa devozione che esso ci viene presentato
in tante sue opere, nelle quali, e non è casuale, sovente sono proprio le donne
a farsi le “modelle” ideali e le vere eroine di questa visione reale della vita
della sua epoca.
Il
lavoro è fatica e sacrificio, che stanca fisicamente, ma al tempo stesso
conferisce grande dignità umana e, talvolta, è innalzato fin quasi a divenire
emozionata poesia liturgica, anche in senso allusivo e simbolico, capace di
condensare in sé tutto il mondo agreste di un’epoca e di un ambiente, e tutto il
senso religioso-cristiano grazie al quale il lavoro educa e, nella sua naturale
semplicità, ci fa crescere moralmente e spiritualmente; ci dà la ricchezza
dell’umiltà umana, del contatto purificatore con la terra, del sentimento che
suscita la natura nel nostro animo quando con essa si vive in perfetta armonia e
in perfetto reciproco rispetto.
È certo
in questo senso che si deve leggere l'interpretazione tutta originale e tutta
personale che egli diede, nella sua arte, dell'enciclica della Rerum
Novarum (1891) di papa Leone XIII, le cui
direttive, in un certo senso, furono dalla sua indole accolte con innata
naturalezza e applicate con profondo senso di responsabilità e comprensione alla
sua terra e al nostro territorio nella loro spiccata vocazione agraria.
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In tutte queste opere, spesso ambientate in suggestivi
paesaggi sanzenonesi e collinari, il paesaggio è certo parte integrante e
necessario alla realizzazione artistica, tuttavia esso si carica di sentimento
naturalistico solo attraverso la presenza umana, sulla quale si concentra il
vero significato del suo messaggio pittorico.
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Sebbene risulti che Noè Bordignon abbia
eseguito rarissime copie di opere famose di altri autori (di un dipinto di
creduto Giorgione è lui stesso a parlarcene), un ruolo del tutto particolare,
certamente come unicum, assume la tela raffigurante Chaos – La Genesi, tratta da
quella del pittore russo-armeno Ivan Konstantinovich Aivazovsky, nato in Crimea
nel 1817. Aivazovsky, formatosi all’Accademia Imperiale delle Arti di San
Pietroburgo e amico del grande poeta Aleksandr Puškin, fu un importante pittore
romantico, quasi una sorta di Turner russo. In un viaggio in Italia nel 1840, si
recò dapprima a Venezia a far visita all’amato fratello Gabriel, che all’epoca
risiedeva nel monastero mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni.
Durante il suo successivo soggiorno a Roma dipinse l’opera Chaos – La
Genesi (1841). Opera carica di profonda spiritualità, fu molto ammirata da papa
Gregorio XVI, che voleva acquistarla per arricchire le collezioni vaticane ma,
Aivazovsky, ne volle invece al pontefice far dono. Queste sono le parole con le
quali l’amico Nikolaj Gogol commentò l’evento e il grande successo ottenuto
dall’artista nella città pontificia: «E bravo Vanja!
Sei arrivato a Roma dalle rive della / Neva che non eri nessuno e subito hai
suscitato / il Caos in Vaticano!».
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Gli stretti rapporti e legami d’amicizia di Noè Bordignon con
la Comunità armena veneziana furono forse assai precoci e probabilmente
risalenti addirittura al periodo di studi all’Accademia, quindi alla fine degli
anni Sessanta del XIX secolo. Per la Congregazione di San Lazzaro degli Armeni,
negli anni a cavallo dei due secoli, Bordignon lavorò molto, realizzando dipinti
su tela e affreschi. Forti furono anche i suoi rapporti con la Comunità armena
di San Zenone degli Ezzelini, al punto che, per la morte dell’amato figlio Rino
(Lazzaro), nel 1906, fu proprio padre Garabed Der Sahakian a pubblicare, in
armeno, su una rivista dei Padri Armeni, un ricordo commemorativo del piccolo
Rino per far sentire la vicinanza affettiva della Comunità al padre, a cui il
testo è dedicato.
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Tornando al soggiorno romano per il pensionato del 1871-‘74,
durante il quale sicuramente Bordignon ebbe modo di visitare le collezioni
vaticane, come ce lo testimoniano anche gli affreschi del Giudizio
Universale della parrocchiale di San Zenone degli Ezzelini, così ricchi di
citazioni michelangiolesche tratte dalla Cappella Sistina, non sarebbe da
sorprendersi se egli fosse stato anche particolarmente colpito dalla tela Chaos
– La Genesi che il pittore armeno Aivazovsky aveva donato al papa. A corroborare
questa ipotesi sembrerebbe essere ancora un affresco della parrocchiale di San
Zenone, quello sul timpano del frontone di facciata della chiesa, probabilmente
risalente ai primi anni ’80, raffigurante un Padre Eterno che sembra una diretta
citazione, appunto, da quello del Chaos di Aivazovsky (la cui iniziale
ispirazione potrebbe essere da Raffaello).
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Tra il 1894 ed il 1897, ad opera dell’Impero Ottomano, si
ebbero i cosiddetti massacri hamidiani, durante i quali, secondo alcune fonti,
furono “bruciati e uccisi” circa 200.000 armeni: furono i prodromi del più
conosciuto genocidio armeno, che si perpetrò tra il 1915 e il 1916, causando un
numero calcolato tra le 800.000 e 1.500.000 di vittime.
È documentato che Bordignon era attivo presso i Padri
Armeni di Venezia tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento e, nella
Comunità dell’Isola di San Lazzaro, le notizie del genocidio perpetrato tra il
1894 ed il 1897 dovettero aver suscitato grande orrore e commozione, certo con
la partecipazione sentita e coinvolta anche dell’artista. Nel 1901, come gesto
di vicinanza alla Congregazione armena di Venezia, papa Leone XIII, l’autore
dell’enciclica della Rerum Novarum, così sentita nelle sue opere da Noè
Bordignon, donò alla Comunità dell’isola di San Lazzaro degli Armeni il dipinto Chaos
– La Genesi del pittore russo-armeno Ivan Konstantinovich Aivazovsky.
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La
scelta del dipinto donato da papa Leone XIII potrebbe essere stata fatta
semplicemente perché quel capolavoro era opera di un pittore armeno. Tuttavia,
con le dovute riserve, che si spera possano essere sciolte con l’imminente
mostra su Bordignon, bisogna pure considerare che il pittore di Castelfranco
avesse probabilmente conosciuto e ammirato sin dai primi anni Settanta, a Roma,
il dipinto di Aivazovsky; e allora perché non supporre anche che, forse proprio
per suo interessamento, la scelta in quell’occasione di quel dono alla Comunità
cadde proprio su quell’opera?
L’esistenza
della derivazione, fedele stilisticamente, dal Chaos
– La Genesi di
Aivazovsky, realizzata da Bordignon certamente su commissione armena
probabilmente proprio in quel 1901, non firmata, ovviamente, sul recto, ma per
esteso sul verso, delle stesse esatte misure dell’originale, pone in ogni caso
il pittore di Castelfranco in stretto legame con quanto avvenne in quegli anni
nei rapporti tra la Chiesa, la Comunità armena di Venezia e i tragici fatti del
genocidio di quel popolo perpetrato dall’Impero Ottomano alla fine del XIX
secolo.
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S'è detto che i lavori ad affresco
continuarono ad impegnarlo fino ad tarda età, con commissioni che gli giunsero
sia in ambito ecclesiastico sia da privati.
Tra gli altri lavori, particolarmente
interessante era il ciclo di facciata commissionatogli dal chirurgo Marino
Michieli per la sua villa a Bassano del Grappa, purtroppo distrutta dai
bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
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Bordignon ha diversi figli, ma a uno di essi si sente
particolarmente legato per la predisposizione di questi alla pittura: è Lazzaro,
soprannominato Rino, natogli a Venezia nel 1889. Anche il figlio è molto legato
al padre e, giovanissimo, segue i suoi insegnamenti, con l’intenzione esplicita
di voler essere anch’egli pittore. Purtroppo, a sedici anni, nel settembre del
1906, Lazzaro Bordignon muore. Per il padre è una tragedia, cui solo il lavoro
sembra riuscire a distoglierlo. Altre tragedie famigliari legate ai figli lo
perseguitano e, nel maggio del 1913, dopo sei anni d’infermità, anche la moglie
Maria lo abbandona. In una vita sempre più ritirata, lontano dai clamori del
mondo, Noè Bordignon continua a dipingere forse più che per se stesso che per
gli altri. I soggetti raffigurati sembrano perdere sempre più importanza, mentre
il piacere che gli dà il suo lavoro pare concentrarsi, come fosse preghiera,
nell’atto stesso del dipingere. La sua pittura si fa materica e densa, con
cromatismi meno accesi ma carichi che infinite velature e pastosità del colore
tratte con pennellate sicure e decise che, sotto molti versi, avvicinano molte
sue ultime opere, a conferma dell’assonanza della sua indole artistica alla
gloriosa tradizione veneta, alle ultime opere di Tiziano o di Jacopo Bassano,
quando la forma sembra disfarsi nel colore che si plasma in materia e luce.
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Dopo una dolorosa caduta che gli procura la frattura del
femore, Noè Bordignon, il 7 dicembre 1920, si spegne nella sua casa di San
Zenone degli Ezzelini, lasciando incompiuto un Autoritratto, il suo ultimo
lavoro.
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Martedì 8 Settembre 2020 - ore 21,00
Presentazione di
Danila Dal Pos
(Presidente dell'Associazione
Amici dei Musei e dei Monumenti di Castelfranco Veneto e della Castellana).
Conferenza su NOE’ BORDIGNON di
Marco Mondi (Storico dell’Arte).
Intervento di Mariateresa Bonaldo
e Susanna Scapin
(Restauratrici).
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Noè Bordignon:
interprete geniale della cultura del nostro entroterra
tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento
relatore Marco Mondi
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incontro dedicato a Noè Bordignon
organizzato
dall'Associazione Amici dei Musei e dei Monumenti di Castelfranco Veneto e della Castellana
in collaborazione con il Comune di Castelfranco Veneto
Castelfranco Veneto, Arena del Teatro Accademico
martedì 8 settembre 2020