Ambiente Salute Veneta promuove la |
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Rassegna di Artisti Veneziani
a cura di Valeria Molin
Galleria del Teatro Accademico
Via Giuseppe Garibaldi 4
Castelfranco Veneto
dal 19 ottobre al 10 novembre 2019
Orari di apertura
da mercoledì a venerdì
16.00—19-00
sabato, domenica e festivi
10.00—12.30 / 16.00—19.00
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Presentazione
critica
La
precoce vocazione artistica di Toni
Fontanella spinse i genitori ad
iscriverlo all’Istituto d’Arte di
Venezia, la sua città. Tra le due guerre
persisteva ancora una separazione
piuttosto netta tra le cosiddette belle
arti e le arti minori; l’Istituto d’Arte
cittadino, pertanto, si prefiggeva un
insegnamento che portasse ad una
formazione artigianale nel campo delle
arti decorative e la grafica, per Toni
Fontanella, fu l’approccio
tecnico-professionale attraverso il
quale si accostò allo studio delle arti
figurative maggiori. La grafica richiede
conoscenze pratiche, ingegnosità
ideative e abilità esecutive dalle quali
non si può prescindere se si vogliono
ottenere risultati qualitativamente
validi. Essa, inoltre, impone un rigore
mentale e una concentrazione costante
che, se praticate sin dalla giovane età,
si svilupperanno fino a diventare
caratteristiche essenziali del
ductus
espressivo della maturità di un artista:
vedremo come sarà così anche per Toni
Fontanella.
Attorno
alla metà degli anni Trenta, di fatto,
durante e dopo gli studi, egli si dedicò
con impegno all’ideazione grafica di
illustrazioni per libri e riviste tanto
che, alla
XXVIII
Esposizione Collettiva dell’Opera
Bevilacqua La Masa
del 1937, si presentò con un manifesto (Prelittoriali
della cultura e dell'arte,
1937)
di una chiarezza comunicativa esemplare,
fatta di sintesi compositiva e di
essenzialità grafico-cromatica allora
davvero all’avanguardia. Per la pittura
tuttavia, in alcune nature morte di
questi anni (Natura
morta e
Natura morta, entrambe del
1932), Toni Fontanella mostra di
lavorare su composizioni piuttosto
tradizionali, quasi neo-seicentesche,
seppur in esse si possa già evidenziare
un rincorrere la luce per mezzo di un
brio cromatico e di una pastosità dal
tocco rapido e vibrato; mentre in altre
(Natura
morta, 1934),
caratterizzate da un taglio prospettico
a volo d’uccello, il tremolio cromatico
della materia-luce appare assai più
accentuato e quasi evanescente,
sembrando subire il fascino della
pittura impressionista e depisisiana un
po’ come, ad esempio, in certe nature
morte di Eugenio Da Venezia. Per un
giovane, a queste date, la
frequentazione dell’ambiente artistico
veneziano implicava la conoscenza della
pittura capesarina dell’anteguerra e di
quanto si andava facendo,
successivamente, nell’ambito dell’Opera
Bevilacqua La Masa e del gruppo dei
pittori di Burano, da un lato, e,
dall’altro, la visita alle Biennali che,
se per certi versi continuavano a
presentare opere di tradizione tardo
ottocentesca e tardo realistica, al
tempo stesso proponevano retrospettive o
panoramiche sull’Impressionismo e su
alcune avanguardie storiche, andando
così sempre più ad aprirsi ad una
cultura figurativa decisamente moderna.
E di tutto questo, Toni Fontanella, ne
era ben informato.
Lo scoppio
della Seconda Guerra Mondiale, alla
quale partecipò come ufficiale,
inevitabilmente lo distolse, pur con
qualche eccezione, dall’impegno in campo
artistico. Ma, alla fine del conflitto,
lo ritroviamo come disegnatore al fianco
del veneziano Romano Scarpa (che sarà,
tra l’altro,
uno fra i maggiori
fumettisti e animatori della Disney).
Ciononostante, al seguito delle nuove
responsabilità familiari (nel 1950 si
era sposato e nel 1951 era divenuto
padre), accettò l’impiego di disegnatore
tecnico alla Società Adriatica Di
Elettricità (SADE),
sfruttando là, quindi, anche quanto
aveva appreso negli studi e nella
pratica della grafica artistica. Qualche
anno dopo, in più, fu emotivamente
toccato da un’altra necessità, quella di
abbandonare Venezia per Marghera,
stabilendosi poi definitivamente a
Mestre (1958): questo, allontanandolo
fisicamente, fece nascere in lui un
amore nuovo, sempre più nutrito e
sentito, per la sua città e la sua
laguna; un amore che sarà, nei decenni
successivi, centrale per tutta la sua
attività pittorica. Concentrato nei suoi affetti e nel suo lavoro alla SADE, per circa un decennio fu pertanto costretto a trascurare la sua attività artistica. Il suo ritorno ufficiale all’arte si può far risalire al 1961, con la partecipazione alla 49^ Mostra Collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa. In quell’occasione presentò un piccolo dipinto su tavola (Interno n. 1) che si può davvero considerare esemplare come punto d’arrivo delle esperienze fino ad allora fatte e, ad un tempo, come punto di partenza verso il raggiungimento di un proprio e definivo linguaggio figurativo. Esso, infatti, è un’opera secca di sintesi prospettica, edificata su una composizione ortogonale di linee spaziali verticali e orizzontali, che verrebbe da dire concepita con logica cartesiana. È un dipinto organizzato mentalmente su schematiche basi grafiche, atte non a descrivere l’interno di una stanza quanto piuttosto a rappresentarlo idealmente nella sua essenza di equilibrio e di perfezione formale tendenti all’astrazione. È un’opera quasi “neoplastica” dove il colore, steso per campiture geometriche ritmate da linee perpendicolari una all’altra, si impernia di luce e crea lo spazio. È un dipinto “silenzioso” che riassume le esperienze grafiche di rigore mentale e di salda, robusta concentrazione fatte in precedenza e che apre al pittore un mondo di reinterpretazione cromatico-luministica della realtà che applicherà poi con sentimento ed emozione alle sue Venezie e alle sue lagune. Venezie e lagune dove, come qua, la presenza umana è solo metafisicamente sottointesa da una nostalgica vena di velata, allusiva simbologia. Non è casuale se questa tavoletta, pochi mesi prima, fu premiata con il primo premio per la pittura ad una mostra allestita dal Circolo dopolavoristico della SADE; presidente della giuria di premiazione era Guido Perocco, allora direttore del Museo Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. È interessante notare come, in quest’occasione, Fontanella presentasse anche altri due dipinti, di maggiori dimensioni e raffiguranti due “visioni” di fabbriche di Porto Marghera (Industrie e Serbatoi, entrambe databili tra il 1960 ed il 1961), concepiti con lo stesso rigore formale di sintesi grafica nella composizione e di ritmate, piatte campiture geometriche nel colore. Se altre opere per tutti gli anni Sessanta ci testimoniano l’insistere su un analogo linguaggio, che va gradualmente ad accogliere una percezione lirica sempre più legata ad una interpretazione fedele del dato oggettivo reale, ispirato da un’emozionata osservazione del paesaggio lagunare o della veduta veneziana (Sotoportego, del 1968, ad esempio), e se, altre ancora, si spingono a descrivere volumetrie di derivazione post-cubista (Composizione, della metà degli anni Sessanta, Architetture veneziane o ancora Architetture veneziane, entrambe del 1962) per giungere, talvolta, addirittura all’astrazione (Senza titolo, 1956), sottraendosi al figurativo con sperimentazioni (e alcune risalgono addirittura a metà degli anni Cinquanta - Composizione, 1956) di soluzioni spazialiste o di gestualità espressiva del segno e del colore o informali nel sentire la materia pittorica e tachiste nella libertà e immediatezza della stesura del colore (Composizione, della metà degli anni Sessanta), ciò significa che Toni Fontanella non era affatto slegato da quanto si andava facendo in quegli anni di più innovativo a Venezia, in Italia e all’estero. Anzi, ci si accorge con quanta coerenza stilistica e cognizione di causa egli, tornato alla pittura, abbia intrapreso un percorso linguistico figurativo maturato sulle esperienze fatte, che gradualmente lo portò a trovare una dialettica espressiva del tutto personale e caratteristica, che segnerà l’intera successiva produzione pittorica.
Dalla
seconda metà degli anni Sessanta,
infatti, la sua pittura andò sempre più
ad abbracciare con decisione il dato
figurativo geograficamente ben
identificabile come elemento essenziale
delle raffigurazioni; ma il dato
figurativo, più che essere “ritratto”,
è, come in
Interno
n. 1,
reinterpretato su un’architettura
compositiva fatta di sintesi geometrica
dello spazio e di equilibrate campiture
di colore capaci, sovente, di catturare
la luce e di trattenerla caricandola di
un candore lirico e riposante quasi
metafisico e da Realismo Magico (si
vedano, ad esempio,
Ponte
all’Angelo Raffaele
o
Sotoportego,
entrambe del 1968). Fontanella, in certe
opere, giunge a una tale fusione del
colore con la luce grazie alla quale la
costruzione spaziale essenziale,
schematica e sintetica del dipinto si
carica di un’atmosfera incantata, che
nell’osservatore suscita uno stato
d’animo di quiete sospesa dal silenzio e
dalla luce che tutto avvolge. I
paesaggi, le vedute ed anche le nature
morte che egli dipinse sino a tardissima
età, mostrano tutte
una
studiata composizione di sintesi e di
schema che si regge sul dato oggettivo e
reale. Dato oggettivo e reale che, dalla
seconda metà degli anni Sessanta, va a
confluire in un tutt’uno con il colore
che l’inonda e che, sorretto da una
costruzione cromatico-spaziale fatta di
diafane e quasi evanescenti tonalità
(come in alcune Venezie dell’amico Mario
Dinon), si trasforma gradualmente nel
decennio successivo in una ricerca di
materia-spazio-luce che pare addirittura
ponderata sulla pittura morandiana. E,
su queste basi, l’evoluzione stilistica
di Toni Fontanella si dimostra, di volta
in volta, capace di accogliere spunti
diversi, come quelli desunti dalle
ricerche luministico spaziali di Guidi,
sperimentate magari con soluzioni
di corposità luminose del
pigmento pittorico che sembrano
stimolate dall’ultimo Guido Cadorin. In
opere
come
Punta
della Dogana
del 1969 o
Barche al
tramonto
di pochi anni dopo, infatti, la vasta
ariosità guidiana della luce invade
tutto, determinando uno spazio della
veduta o della laguna fatto di valori
cromatici che si dilatano nelle
evanescenze atmosferiche, testimonianza
di un continuo studio di chiarori che
riverberano silenziosi, sospesi e
immobili, quasi fuori dal tempo, ma
lirici, trasparenti e limpidi qua o, là,
sfumati e carichi di delicate velature.
Contemporaneamente e negli anni
successivi, lo studio della luce come
colore e spazio si snoda all’interno di
un’architettura compositiva concepita
con maggior rigore, ma elaborata pur
sempre sulle già sperimentate sintetiche
campiture cromatiche. E sarà
un’architettura compositiva che
caratterizzerà con costanza la struttura
formale di tutto il percorso restante
della sua poetica figurativa, fino alla
tarda maturità. Già in un’opera come
Canale lagunare
del 1969 la struttura del dipinto,
bilanciata su equilibri quasi morandiani
o, talvolta, alla Casorati (e, verrebbe
da dire, sviluppata su basi formali
volumetriche post-cubiste), riprende le
sintesi spaziali figurative dei primi
anni Sessanta ma carica le campiture
prospettiche ed atmosferiche di una luce
statica e solare, sospesa e silenziosa,
in grado di razionalizzare le ariosità
guidiane dei dipinti più su appena
visti: in tal modo, a tali lavori è
conferita una parvenza enigmatica e
simbolicamente allusiva. Su questa
direzione, a partire dagli anni
Settanta, quadri come
Ponte a
Sacca Fisola
(1972) o
Vieri e
cavana
(1974) oramai testimoniano del
raggiungimento di una dialettica
espressiva tutta sua, individuale e
originale. Sono opere davvero concepite
su una ricerca di una rielaborazione
interiore emotiva che va a ricreare la
realtà, a riprodurre la sensazione della
realtà per mezzo di scansioni
geometriche dello spazio (di uno spazio
assoluto), saturo di un colore che è
luce, luce plastica e volumetrica. E
questo risultato persiste anche quando,
negli stessi anni, usa una stesura del
pigmento cromatico più “rigata” dal
tratto del pennello, come nella
capesarina
Case a
Burano
(1969) o in
Inverno in
laguna
(1972); qui, le soluzioni materiche del
colore rimandano ad alcune modi
espressivi che, negli stessi anni,
testavano anche Guido Cadorin o il
trevigiano Giovanni Barbisan, ad
esempio. Con la secchezza “arida”, poi,
di alcuni lavori dei primi anni Ottanta
(Dopo
la pesca
del 1980, o
Nasse al
sole
del 1981), sperimenta nuove
conquiste poetiche senza
sacrificare i traguardi compositivo
cromatici e luministici raggiunti; anzi,
preparando la tela con più strati di
colore per dopo graffiarla riportandone
così, di essi, la “luce” in superficie
(ed è quanto, in effetti, sperimentava
nell’astratto un Mario Deluigi per dare,
con segni incisi in negativo,
"condizione" dello spazio ad alcuni suoi
lavori), ottiene pastosità e spessori
materici in grado di rendere le qualità
“organiche” dello spazio con purezze
plastiche e volumetriche che esaltano un
preciso senso descrittivo di solitudine,
di quiete, d’incanto e d’interiorità dei
luoghi ritratti.
In tutte queste opere domina un
silenzio di ascendenza metafisica, anche
quando, a cavallo tra gli anni Ottanta e
Novanta (Fondamenta
a Mazzorbo,
1989, o
Mercato a Chioggia,
1991, e nelle tante, “sentimentali”,
nature morte di quegli anni e
successive), esse si accendono di
cromatismi più “sonori” nel ritmo, nella
vibrazione dei rapporti tonali e nella
pastosità del tratto. Pastosità del
tratto la quale fa sentire, col tremolio
di una
stesura
per brevi segmenti più o meno paralleli,
una realtà governata da
sapienti leggi spaziali
in una sinergia di continue
corrispondenze coloristiche.
Ritmi cromatici di spazi, di forme, di
oggetti, di cose, di natura, di
geometrie della natura e di luce, dove
ogni elemento si ricompone e si
riposiziona in relazione agli altri
elementi nel posto giusto, nel giusto
equilibrio di rapporti e di pesi
cromatici, di masse prospettiche,
ricreando un paesaggio altrettanto reale
e credibile, completo in se stesso e
nella sua autonomia. Provate, come in
una sorta di gioco, a sostituire
mentalmente le forme reali con astratte
forme geometriche o irregolari e
gestuali zone di colore aventi lo stesso
peso e la stessa valenza
plastico-luministico-prospettica e,
ecco, scoperto il gioco concettuale
costruttivo dello spazio di Toni
Fontanella. In altre parole, egli ci
mostra che si può elaborare
figurativamente un paesaggio reale e
riconoscibile con le stesse leggi
“mentali” che altri pittori hanno
applicato o applicano nella
realizzazione di opere non figurative.
Come nei lavori dei decenni
precedenti, la figura umana continua a
rimanere assente. L’accenno alla
presenza dell’uomo è ancora solo
indiretto, fatto attraverso la
giustapposizione di un capanno, di una
cavana,
di una barca o di un
cestone da pesca, in modo tale da
mantenere sempre la sembianza di una sua
evocazione simbolica in un silente
paesaggio “sublimato” emotivamente,
poeticamente “modellato” dal colore e
dalla luce; luce che si assorbe e si
diffonde
nell’atmosfera dell’insieme. Nelle
nature morte stesse degli ultimi anni,
in più, ideate tutte con la stessa
logica costruttiva e coloristica dei
paesaggi lagunari e delle vedute
cittadine, sono ancora gli oggetti a
suggerire simbolicamente la presenza
dell’uomo. Anzi, gli oggetti talvolta
s’innalzano fino a diventare veri
simboli, e simboli emotivamente vissuti
quando essi vengono, con sentimento e
tenerezza, ad alludere più o meno
apertamente alla scomparsa dell’amata
moglie, avvenuta nel 1986 (si vedano, ad
esempio,
Al rientro,
del 1992,
Cappello
viola,
del 1995, o
Iris e
borsa rossa,
del 1999).
Finché gli fu fisicamente
possibile, Toni Fontanella andò a
lavorare negli amati ambienti veneziani
e, soprattutto, lagunari, sempre in
grado di emozionarlo profondamente. In
essi, principalmente, trovò
l’ispirazione per le sue pitture, anche
quando inseriva nel paesaggio la natura
morta come soggetto principale (si
vedano, ad esempio,
Vista
sulla laguna con granchi,
del 1993,
Spiaggia,
Rose sul
prato,
entrambe del 1994, e molte altre
ancora). Questo appassionato approccio
con la natura lagunare o con lo scenario
veneziano avveniva in un colloquio di
intima partecipazione e si
concretizzava nella realizzazione
en plein-air
di studi e bozzetti propedeutici
all’opera finale. Inoltre, a partire
principalmente dagli anni Settanta, si
serviva molto spesso
in loco
anche della macchina fotografica,
costringendo il mezzo meccanico, che per
sua natura cattura l’immagine attraverso
la luce, a scatti che potessero meglio
aiutarlo nella ricerca e nella
composizione della scena paesaggistica
adatta; adatta formalmente ma adatta
anche
coloristicamente, consentendogli di
cogliere accostamenti dal vero di zone e
di piani prospettici fatti, appunto, di
luci e di ombre.
La maggior parte dei sui
dipinti, di fatto, era poi
effettivamente realizzata in studio,
durante un lavoro di reinvenzione
figurativa che si può quasi definire una
sorta di “canone” o di metodo operativo
oramai consolidato e maturo, frutto di
tutte le esperienze fino ad allora
fatte, comprese quelle grafiche
giovanili. Ricreava allora, dalla
visione naturale, una “visione
mentalmente” altrettanto credibile e
fedele, capace in più, però,
d’accogliere il colore nella sua essenza
satura di luce e nella sua metamorfosi
raggiunta attraverso la luce, infondendo
così all’opera una sospensione di
silenzio metafisico, allusivo a qualcosa
che va al di là del dato visivo, e che è
tra i lasciti più preziosi dell’artista.
Marco
Mondi |
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OPERE CITATE NEL TESTO (cliccare sull'immagine per ingrandirla)
04 -
TONI FONTANELLA,
Prelittoriali della Cultura e
dell’Arte, 1937.
05 - TONI FONTANELLA,
Natura morta,
1932.
06 - TONI FONTANELLA,
Natura morta,
1932.
07 - TONI FONTANELLA,
Natura morta,
1934.
08 - TONI FONTANELLA,
Interno n. 1, 1961.
09 - TONI FONTANELLA,
Industrie,
1960-1961.
10 - TONI FONTANELLA,
Serbatoi,
1960-1961.
11 - TONI FONTANELLA,
Composizione,
1956.
12 - TONI FONTANELLA,
Composizione,
metà degli anni Sessanta.
13 - TONI FONTANELLA,
Composizione,
metà degli anni Sessanta.
14 - TONI FONTANELLA,
Senza titolo,
1956.
15 - TONI FONTANELLA,
Architetture veneziane,
1962 circa.
16 - TONI FONTANELLA,
Architetture veneziane,
1962 circa.
17 - TONI FONTANELLA,
Ponte all’Angelo Raffaele,
1968.
18 - TONI FONTANELLA,
Sotoportego,
1968.
19 - TONI FONTANELLA,
Punta della Dogana,
1969.
20 - TONI FONTANELLA,
Barche al tramonto,
1972.
21 - TONI FONTANELLA,
Canale lagunare,
1969.
22 - TONI FONTANELLA,
Ponte a Sacca Fisola,
1972.
23 - TONI FONTANELLA,
Vieri e cavana,
1974.
24 - TONI FONTANELLA,
Case a Burano,
1969.
25 - TONI FONTANELLA,
Inverno in laguna,
1972.
26 - TONI FONTANELLA,
Dopo la pesca
del 1980.
27 - TONI FONTANELLA,
Nasse al sole,
1981.
28 - TONI FONTANELLA,
Fondamenta a Mazzorbo, 1989.
29 - TONI FONTANELLA,
Mercato a Chioggia,
1991.
30 - TONI FONTANELLA,
Al rientro,
1992.
31 - TONI FONTANELLA,
Cappello viola,
1995.
32 - TONI FONTANELLA,
Iris e borsa rossa,
1999.
33 - TONI FONTANELLA,
Vista sulla laguna con granchi, 1993.
34 - TONI FONTANELLA,
Spiaggia, 1994.
35 - TONI FONTANELLA,
Rose sul prato,
1994.
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