Toni Fontanella

 

Ambiente Salute Veneta promuove la Rassegna di Artisti Veneziani, curata da Valeria Molin, con la mostra personale di dipinti di Toni Fontanella, autentico maestro della pittura lagunare. Dopo la grande mostra celebrata nel 2015 nelle Sale del Centro Culturale Candiani di Mestre, con l’Archivio Fontanella ora a Castelfranco Veneto l’esposizione intitolata Il silenzio della luce. Una selezionata raccolta di suoi lavori olio su tela, molti inediti, volta a far conoscere al pubblico locale i suoi percorsi creativi ispirati al paesaggio della laguna di Venezia e alle nature morte con gli oggetti del ricordo femminile. Con la presentazione critica di Marco Mondi, l’evento segna una nuova tappa della Rassegna in omaggio alla storia artistica di Venezia a partire dagli anni Cinquanta del Novecento.

 

Rassegna di Artisti Veneziani

a cura di Valeria Molin

 

Galleria del Teatro Accademico

Via Giuseppe Garibaldi 4

Castelfranco Veneto

dal 19 ottobre al 10 novembre 2019

Orari di apertura

da mercoledì a venerdì

16.00—19-00

sabato, domenica e festivi

10.00—12.30 / 16.00—19.00

 

www.tonifontanella.it

www.ambientesaluteveneta.it

 

 






Le foto della mostra





Presentazione critica della mostra a cura di Marco Mondi

La precoce vocazione artistica di Toni Fontanella spinse i genitori ad iscriverlo all’Istituto d’Arte di Venezia, la sua città. Tra le due guerre persisteva ancora una separazione piuttosto netta tra le cosiddette belle arti e le arti minori; l’Istituto d’Arte cittadino, pertanto, si prefiggeva un insegnamento che portasse ad una formazione artigianale nel campo delle arti decorative e la grafica, per Toni Fontanella, fu l’approccio tecnico-professionale attraverso il quale si accostò allo studio delle arti figurative maggiori. La grafica richiede conoscenze pratiche, ingegnosità ideative e abilità esecutive dalle quali non si può prescindere se si vogliono ottenere risultati qualitativamente validi. Essa, inoltre, impone un rigore mentale e una concentrazione costante che, se praticate sin dalla giovane età, si svilupperanno fino a diventare caratteristiche essenziali del ductus espressivo della maturità di un artista: vedremo come sarà così anche per Toni Fontanella.

Attorno alla metà degli anni Trenta, di fatto, durante e dopo gli studi, egli si dedicò con impegno all’ideazione grafica di illustrazioni per libri e riviste tanto che, alla XXVIII Esposizione Collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa del 1937, si presentò con un manifesto (Prelittoriali della cultura e dell'arte, 1937) di una chiarezza comunicativa esemplare, fatta di sintesi compositiva e di essenzialità grafico-cromatica allora davvero all’avanguardia. Per la pittura tuttavia, in alcune nature morte di questi anni (Natura morta e Natura morta, entrambe del 1932), Toni Fontanella mostra di lavorare su composizioni piuttosto tradizionali, quasi neo-seicentesche, seppur in esse si possa già evidenziare un rincorrere la luce per mezzo di un brio cromatico e di una pastosità dal tocco rapido e vibrato; mentre in altre (Natura morta, 1934), caratterizzate da un taglio prospettico a volo d’uccello, il tremolio cromatico della materia-luce appare assai più accentuato e quasi evanescente, sembrando subire il fascino della pittura impressionista e depisisiana un po’ come, ad esempio, in certe nature morte di Eugenio Da Venezia. Per un giovane, a queste date, la frequentazione dell’ambiente artistico veneziano implicava la conoscenza della pittura capesarina dell’anteguerra e di quanto si andava facendo, successivamente, nell’ambito dell’Opera Bevilacqua La Masa e del gruppo dei pittori di Burano, da un lato, e, dall’altro, la visita alle Biennali che, se per certi versi continuavano a presentare opere di tradizione tardo ottocentesca e tardo realistica, al tempo stesso proponevano retrospettive o panoramiche sull’Impressionismo e su alcune avanguardie storiche, andando così sempre più ad aprirsi ad una cultura figurativa decisamente moderna. E di tutto questo, Toni Fontanella, ne era ben informato.

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, alla quale partecipò come ufficiale, inevitabilmente lo distolse, pur con qualche eccezione, dall’impegno in campo artistico. Ma, alla fine del conflitto, lo ritroviamo come disegnatore al fianco del veneziano Romano Scarpa (che sarà, tra l’altro, uno fra i maggiori fumettisti e animatori della Disney). Ciononostante, al seguito delle nuove responsabilità familiari (nel 1950 si era sposato e nel 1951 era divenuto padre), accettò l’impiego di disegnatore tecnico alla Società Adriatica Di Elettricità (SADE), sfruttando là, quindi, anche quanto aveva appreso negli studi e nella pratica della grafica artistica. Qualche anno dopo, in più, fu emotivamente toccato da un’altra necessità, quella di abbandonare Venezia per Marghera, stabilendosi poi definitivamente a Mestre (1958): questo, allontanandolo fisicamente, fece nascere in lui un amore nuovo, sempre più nutrito e sentito, per la sua città e la sua laguna; un amore che sarà, nei decenni successivi, centrale per tutta la sua attività pittorica.

Concentrato nei suoi affetti e nel suo lavoro alla SADE, per circa un decennio fu pertanto costretto a trascurare la sua attività artistica. Il suo ritorno ufficiale all’arte si può far risalire al 1961, con la partecipazione alla 49^ Mostra Collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa. In quell’occasione presentò un piccolo dipinto su tavola (Interno n. 1) che si può davvero considerare esemplare come punto d’arrivo delle esperienze fino ad allora fatte e, ad un tempo, come punto di partenza verso il raggiungimento di un proprio e definivo linguaggio figurativo. Esso, infatti, è un’opera secca di sintesi prospettica, edificata su una composizione ortogonale di linee spaziali verticali e orizzontali, che verrebbe da dire concepita con logica cartesiana. È un dipinto organizzato mentalmente su schematiche basi grafiche, atte non a descrivere l’interno di una stanza quanto piuttosto a rappresentarlo idealmente nella sua essenza di equilibrio e di perfezione formale tendenti all’astrazione. È un’opera quasi “neoplastica” dove il colore, steso per campiture geometriche ritmate da linee perpendicolari una all’altra, si impernia di luce e crea lo spazio. È un dipinto “silenzioso” che riassume le esperienze grafiche di rigore mentale e di salda, robusta concentrazione fatte in precedenza e che apre al pittore un mondo di reinterpretazione cromatico-luministica della realtà che applicherà poi con sentimento ed emozione alle sue Venezie e alle sue lagune. Venezie e lagune dove, come qua, la presenza umana è solo metafisicamente sottointesa da una nostalgica vena di velata, allusiva simbologia. Non è casuale se questa tavoletta, pochi mesi prima, fu premiata con il primo premio per la pittura ad una mostra allestita dal Circolo dopolavoristico della SADE; presidente della giuria di premiazione era Guido Perocco, allora direttore del Museo Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. È interessante notare come, in quest’occasione, Fontanella presentasse anche altri due dipinti, di maggiori dimensioni e raffiguranti due “visioni” di fabbriche di Porto Marghera (Industrie e Serbatoi, entrambe databili tra il 1960 ed il 1961), concepiti con lo stesso rigore formale di sintesi grafica nella composizione e di ritmate, piatte campiture geometriche nel colore. Se altre opere per tutti gli anni Sessanta ci testimoniano l’insistere su un analogo linguaggio, che va gradualmente ad accogliere una percezione lirica sempre più legata ad una interpretazione fedele del dato oggettivo reale, ispirato da un’emozionata osservazione del paesaggio lagunare o della veduta veneziana (Sotoportego, del 1968, ad esempio), e se, altre ancora, si spingono a descrivere volumetrie di derivazione post-cubista (Composizione, della metà degli anni Sessanta, Architetture veneziane o ancora Architetture veneziane, entrambe del 1962) per giungere, talvolta, addirittura all’astrazione (Senza titolo, 1956), sottraendosi al figurativo con sperimentazioni (e alcune risalgono addirittura a metà degli anni Cinquanta - Composizione, 1956) di soluzioni spazialiste o di gestualità espressiva del segno e del colore o informali nel sentire la materia pittorica e tachiste nella libertà e immediatezza della stesura del colore (Composizione, della metà degli anni Sessanta), ciò significa che Toni Fontanella non era affatto slegato da quanto si andava facendo in quegli anni di più innovativo a Venezia, in Italia e all’estero. Anzi, ci si accorge con quanta coerenza stilistica e cognizione di causa egli, tornato alla pittura, abbia intrapreso un percorso linguistico figurativo maturato sulle esperienze fatte, che gradualmente lo portò a trovare una dialettica espressiva del tutto personale e caratteristica, che segnerà l’intera successiva produzione pittorica.

Dalla seconda metà degli anni Sessanta, infatti, la sua pittura andò sempre più ad abbracciare con decisione il dato figurativo geograficamente ben identificabile come elemento essenziale delle raffigurazioni; ma il dato figurativo, più che essere “ritratto”, è, come in Interno n. 1, reinterpretato su un’architettura compositiva fatta di sintesi geometrica dello spazio e di equilibrate campiture di colore capaci, sovente, di catturare la luce e di trattenerla caricandola di un candore lirico e riposante quasi metafisico e da Realismo Magico (si vedano, ad esempio, Ponte all’Angelo Raffaele o Sotoportego, entrambe del 1968). Fontanella, in certe opere, giunge a una tale fusione del colore con la luce grazie alla quale la costruzione spaziale essenziale, schematica e sintetica del dipinto si carica di un’atmosfera incantata, che nell’osservatore suscita uno stato d’animo di quiete sospesa dal silenzio e dalla luce che tutto avvolge. I paesaggi, le vedute ed anche le nature morte che egli dipinse sino a tardissima età, mostrano tutte una studiata composizione di sintesi e di schema che si regge sul dato oggettivo e reale. Dato oggettivo e reale che, dalla seconda metà degli anni Sessanta, va a confluire in un tutt’uno con il colore che l’inonda e che, sorretto da una costruzione cromatico-spaziale fatta di diafane e quasi evanescenti tonalità (come in alcune Venezie dell’amico Mario Dinon), si trasforma gradualmente nel decennio successivo in una ricerca di materia-spazio-luce che pare addirittura ponderata sulla pittura morandiana. E, su queste basi, l’evoluzione stilistica di Toni Fontanella si dimostra, di volta in volta, capace di accogliere spunti diversi, come quelli desunti dalle ricerche luministico spaziali di Guidi, sperimentate magari con soluzioni di corposità luminose del pigmento pittorico che sembrano stimolate dall’ultimo Guido Cadorin. In opere come Punta della Dogana del 1969 o Barche al tramonto di pochi anni dopo, infatti, la vasta ariosità guidiana della luce invade tutto, determinando uno spazio della veduta o della laguna fatto di valori cromatici che si dilatano nelle evanescenze atmosferiche, testimonianza di un continuo studio di chiarori che riverberano silenziosi, sospesi e immobili, quasi fuori dal tempo, ma lirici, trasparenti e limpidi qua o, là, sfumati e carichi di delicate velature. Contemporaneamente e negli anni successivi, lo studio della luce come colore e spazio si snoda all’interno di un’architettura compositiva concepita con maggior rigore, ma elaborata pur sempre sulle già sperimentate sintetiche campiture cromatiche. E sarà un’architettura compositiva che caratterizzerà con costanza la struttura formale di tutto il percorso restante della sua poetica figurativa, fino alla tarda maturità. Già in un’opera come Canale lagunare del 1969 la struttura del dipinto, bilanciata su equilibri quasi morandiani o, talvolta, alla Casorati (e, verrebbe da dire, sviluppata su basi formali volumetriche post-cubiste), riprende le sintesi spaziali figurative dei primi anni Sessanta ma carica le campiture prospettiche ed atmosferiche di una luce statica e solare, sospesa e silenziosa, in grado di razionalizzare le ariosità guidiane dei dipinti più su appena visti: in tal modo, a tali lavori è conferita una parvenza enigmatica e simbolicamente allusiva. Su questa direzione, a partire dagli anni Settanta, quadri come Ponte a Sacca Fisola (1972) o Vieri e cavana (1974) oramai testimoniano del raggiungimento di una dialettica espressiva tutta sua, individuale e originale. Sono opere davvero concepite su una ricerca di una rielaborazione interiore emotiva che va a ricreare la realtà, a riprodurre la sensazione della realtà per mezzo di scansioni geometriche dello spazio (di uno spazio assoluto), saturo di un colore che è luce, luce plastica e volumetrica. E questo risultato persiste anche quando, negli stessi anni, usa una stesura del pigmento cromatico più “rigata” dal tratto del pennello, come nella capesarina Case a Burano (1969) o in Inverno in laguna (1972); qui, le soluzioni materiche del colore rimandano ad alcune modi espressivi che, negli stessi anni, testavano anche Guido Cadorin o il trevigiano Giovanni Barbisan, ad esempio. Con la secchezza “arida”, poi, di alcuni lavori dei primi anni Ottanta (Dopo la pesca del 1980, o Nasse al sole del 1981), sperimenta nuove conquiste poetiche senza sacrificare i traguardi compositivo cromatici e luministici raggiunti; anzi, preparando la tela con più strati di colore per dopo graffiarla riportandone così, di essi, la “luce” in superficie (ed è quanto, in effetti, sperimentava nell’astratto un Mario Deluigi per dare, con segni incisi in negativo, "condizione" dello spazio ad alcuni suoi lavori), ottiene pastosità e spessori materici in grado di rendere le qualità “organiche” dello spazio con purezze plastiche e volumetriche che esaltano un preciso senso descrittivo di solitudine, di quiete, d’incanto e d’interiorità dei luoghi ritratti.

In tutte queste opere domina un silenzio di ascendenza metafisica, anche quando, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta (Fondamenta a Mazzorbo, 1989, o Mercato a Chioggia, 1991, e nelle tante, “sentimentali”, nature morte di quegli anni e successive), esse si accendono di cromatismi più “sonori” nel ritmo, nella vibrazione dei rapporti tonali e nella pastosità del tratto. Pastosità del tratto la quale fa sentire, col tremolio di una stesura per brevi segmenti più o meno paralleli, una realtà governata da sapienti leggi spaziali in una sinergia di continue corrispondenze coloristiche. Ritmi cromatici di spazi, di forme, di oggetti, di cose, di natura, di geometrie della natura e di luce, dove ogni elemento si ricompone e si riposiziona in relazione agli altri elementi nel posto giusto, nel giusto equilibrio di rapporti e di pesi cromatici, di masse prospettiche, ricreando un paesaggio altrettanto reale e credibile, completo in se stesso e nella sua autonomia. Provate, come in una sorta di gioco, a sostituire mentalmente le forme reali con astratte forme geometriche o irregolari e gestuali zone di colore aventi lo stesso peso e la stessa valenza plastico-luministico-prospettica e, ecco, scoperto il gioco concettuale costruttivo dello spazio di Toni Fontanella. In altre parole, egli ci mostra che si può elaborare figurativamente un paesaggio reale e riconoscibile con le stesse leggi “mentali” che altri pittori hanno applicato o applicano nella realizzazione di opere non figurative.

Come nei lavori dei decenni precedenti, la figura umana continua a rimanere assente. L’accenno alla presenza dell’uomo è ancora solo indiretto, fatto attraverso la giustapposizione di un capanno, di una cavana, di una barca o di un cestone da pesca, in modo tale da mantenere sempre la sembianza di una sua evocazione simbolica in un silente paesaggio “sublimato” emotivamente, poeticamente “modellato” dal colore e dalla luce; luce che si assorbe e si diffonde nell’atmosfera dell’insieme. Nelle nature morte stesse degli ultimi anni, in più, ideate tutte con la stessa logica costruttiva e coloristica dei paesaggi lagunari e delle vedute cittadine, sono ancora gli oggetti a suggerire simbolicamente la presenza dell’uomo. Anzi, gli oggetti talvolta s’innalzano fino a diventare veri simboli, e simboli emotivamente vissuti quando essi vengono, con sentimento e tenerezza, ad alludere più o meno apertamente alla scomparsa dell’amata moglie, avvenuta nel 1986 (si vedano, ad esempio, Al rientro, del 1992, Cappello viola, del 1995, o Iris e borsa rossa, del 1999).

Finché gli fu fisicamente possibile, Toni Fontanella andò a lavorare negli amati ambienti veneziani e, soprattutto, lagunari, sempre in grado di emozionarlo profondamente. In essi, principalmente, trovò l’ispirazione per le sue pitture, anche quando inseriva nel paesaggio la natura morta come soggetto principale (si vedano, ad esempio, Vista sulla laguna con granchi, del 1993, Spiaggia, Rose sul prato, entrambe del 1994, e molte altre ancora). Questo appassionato approccio con la natura lagunare o con lo scenario veneziano avveniva in un colloquio di intima partecipazione e si concretizzava nella realizzazione en plein-air di studi e bozzetti propedeutici all’opera finale. Inoltre, a partire principalmente dagli anni Settanta, si serviva molto spesso in loco anche della macchina fotografica, costringendo il mezzo meccanico, che per sua natura cattura l’immagine attraverso la luce, a scatti che potessero meglio aiutarlo nella ricerca e nella composizione della scena paesaggistica adatta; adatta formalmente ma adatta anche coloristicamente, consentendogli di cogliere accostamenti dal vero di zone e di piani prospettici fatti, appunto, di luci e di ombre. La maggior parte dei sui dipinti, di fatto, era poi effettivamente realizzata in studio, durante un lavoro di reinvenzione figurativa che si può quasi definire una sorta di “canone” o di metodo operativo oramai consolidato e maturo, frutto di tutte le esperienze fino ad allora fatte, comprese quelle grafiche giovanili. Ricreava allora, dalla visione naturale, una “visione mentalmente” altrettanto credibile e fedele, capace in più, però, d’accogliere il colore nella sua essenza satura di luce e nella sua metamorfosi raggiunta attraverso la luce, infondendo così all’opera una sospensione di silenzio metafisico, allusivo a qualcosa che va al di là del dato visivo, e che è tra i lasciti più preziosi dell’artista.

Marco Mondi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OPERE CITATE NEL TESTO

(cliccare sull'immagine per ingrandirla)

 

 

04 - TONI FONTANELLA, Prelittoriali della Cultura e dell’Arte, 1937.

05 - TONI FONTANELLA, Natura morta, 1932.

06 - TONI FONTANELLA, Natura morta, 1932.

07 - TONI FONTANELLA, Natura morta, 1934.

08 - TONI FONTANELLA, Interno n. 1, 1961.


09 - TONI FONTANELLA, Industrie, 1960-1961.

10 - TONI FONTANELLA, Serbatoi, 1960-1961.

11 - TONI FONTANELLA, Composizione, 1956.

12 - TONI FONTANELLA, Composizione, metà degli anni Sessanta.

13 - TONI FONTANELLA, Composizione, metà degli anni Sessanta.

14 - TONI FONTANELLA, Senza titolo, 1956.

15 - TONI FONTANELLA, Architetture veneziane, 1962 circa.

16 - TONI FONTANELLA, Architetture veneziane, 1962 circa.

17 - TONI FONTANELLA, Ponte all’Angelo Raffaele, 1968.

18 - TONI FONTANELLA, Sotoportego, 1968.

19 - TONI FONTANELLA, Punta della Dogana, 1969.

20 - TONI FONTANELLA, Barche al tramonto, 1972.

21 - TONI FONTANELLA, Canale lagunare, 1969.

22 - TONI FONTANELLA, Ponte a Sacca Fisola, 1972.

23 - TONI FONTANELLA, Vieri e cavana, 1974.

24 - TONI FONTANELLA, Case a Burano, 1969.

25 - TONI FONTANELLA, Inverno in laguna, 1972.

26 - TONI FONTANELLA, Dopo la pesca del 1980.

27 - TONI FONTANELLA, Nasse al sole, 1981.

28 - TONI FONTANELLA, Fondamenta a Mazzorbo, 1989.

v

29 - TONI FONTANELLA, Mercato a Chioggia, 1991.

30 - TONI FONTANELLA, Al rientro, 1992.

31 - TONI FONTANELLA, Cappello viola, 1995.

32 - TONI FONTANELLA, Iris e borsa rossa, 1999.

33 - TONI FONTANELLA, Vista sulla laguna con granchi, 1993.

34 - TONI FONTANELLA, Spiaggia, 1994.

35 - TONI FONTANELLA, Rose sul prato, 1994.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Le foto della mostra

 

 

vai al sito ufficiale di TONI FONTANELLA

TONI FONTANELLA biografia

TONI FONTANELLA esposizioni

TONI FONTANELLA opere

 

ELENCO DIPINTI, IN VENDITA E NON IN VENDITA, A DISPOSIZIONE DEGLI STUDIOSI

Le mostre

Links

Altro ancora

DOV'E' LA NOSTRA GALLERIA

Home page GALLERIA FOTOGRAFICA